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Coronavirus, qui si fa l’Unione o si muore

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di FLAVIO DIOGRANDE

Nel suo ultimo messaggio alla nazione, il presidente Mattarella ha presentato così la sfida non solo economica che l’Europa è chiamata a superare in questo momento estremamente delicato: «Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa. La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione, ma è anche nel comune interesse».


La solidarietà, al momento, sembra essere la grande assente nel dibattito a livello europeo sulle misure e sugli strumenti a cui ricorrere per contrastare l’impatto economico provocato dalla pandemia. Nell’ultimo vertice in videoconferenza dei capi di governo e di Stato dell’Ue, non si è raggiunto un accordo sulle risposte a medio termine da dare per rilanciare l’economia europea nel mezzo della battaglia contro il coronavirus.

La proposta dei Corona Bond, un meccanismo solidale di distribuzione dei debiti tra gli Stati dell’Eurozona, sostenuta da diversi paesi molti dei quali fortemente indebitati – l’Italia, la Francia e il Portogallo per citarne alcuni – ha trovato la ferma opposizione dei partner europei con finanze pubbliche più solide e con un debito più contenuto, tra cui Germania e Olanda. “Ho spiegato che noi preferiamo il Mes come strumento, che è stato fatto per le crisi”, ha ammesso la Merkel, facendo riferimento al Fondo Salva Stati a cui un Paese in difficoltà può accedere – come accaduto alla Grecia nel 2015 – a patto di accettare un piano di riforme la cui applicazione sarà sorvegliata dalla famosa “Troika”. La posizione espressa dalla Cancelliera tedesca è condivisa dal suo omologo austriaco Kurz («Respingiamo una mutualizzazione generalizzata dei debiti») e da quello olandese («L’Eurozona ha creato i suoi strumenti, come il Mes, che può essere usato in modo efficace, ma con le condizionalità previste dai trattati. Non posso prevedere alcuna circostanza in cui l’Olanda possa accettare gli eurobond», ha affermato Mark Rutte).

Lo scontro tra Paesi del Nord e area mediterranea appare più politico, che economico – chi pagherà il costo della crisi provocata dal coronavirus e come verranno distribuiti gli oneri relativi alle spese straordinarie necessarie per fronteggiare la pandemia – e mette in luce un fattore di debolezza dell’Ue che espone gli Stati ai venti contrari della finanza speculativa: la mancanza di politiche fiscali comuni.

Alla presidentessa della Commissione Ursula Von Der Leyen, secondo la quale «la parola coronabond è solo una sorta di slogan. Dietro c’è la grande questione delle garanzie. E su questo le riserve della Germania come di altri paesi sono giustificate», il premier Conte ha replicato che «non abbiamo fatto una proposta alla Commissione, ma all’Eurogruppo per elaborarla. C’è un dibattito in corso. Ma qui c’è un appuntamento con la storia e tutti devono essere all’altezza». Il capo del Governo nel corso della videoconferenza aveva già espresso chiaramente la posizione dell’Italia: «Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato (le linee di credito del Mes soggette a condizionalità) allora non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l’Italia non ne ha bisogno». Nei giorni scorsi, il premier italiano si è rivolto direttamente all’opinione pubblica dei paesi più rigorosi – capeggiati da Germania e Olanda – per perorare la causa dei paesi favorevoli agli eurobond: «Io e la Merkel – ha spiegato Conte alla tv tedesca Ard – abbiamo espresso due visioni diverse durante la nostra discussione. Lo dico a tutti i cittadini tedeschi: noi non stiamo scrivendo una pagina di un manuale di economia, stiamo scrivendo una pagina di un libro di storia. Si tratta di una sfida epocale con un impatto devastante sui nostri sistema sanitari, economici e sociali. L’Europa deve dimostrare se è una casa comune per i cittadini europei, che può dare una risposta all’altezza dei suoi compiti. Vorrei ricordare – ha aggiunto il premier italiano – che questo meccanismo, le obbligazioni in euro, non significa che i cittadini tedeschi dovranno pagare anche solo un euro di debito italiano. Significa solo che agiremo insieme per ottenere migliori condizioni economiche, di cui tutti beneficiano».

Attraverso il quotidiano olandese De Telegraaf, Conte ha provato a fare breccia nelle solidissime difese dei Paesi contrari alla possibilità di ricorrere a uno strumento di debito comune: «Non perdiamo l’appuntamento con la storia che richiede di ricorrere a strumenti straordinari, esclusivamente per uscire quanto prima dalla recessione. Anche le buone risposte, se dovessero giungere tardi, si riveleranno inutili. Dobbiamo evitare di ritrovarci a dire: ecco, finalmente abbiamo la terapia, per poi scoprire che il paziente è morto».

Dopo l’importante endorsement di Mario Draghi dei giorni scorsi («Di fronte a circostanze impreviste – ha affermato l’ex presidente della Banca centrale europea nell’intervista al Financial Times – serve un cambiamento di mentalità in questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra. Il costo dell’esitazione può essere irreversibile. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni ’20 è un ammonimento sufficiente») è arrivata la lettera appello dell’eurodeputato Carlo Calenda pubblicata sulle pagine del quotidiano finanziario Frankfurter Allgemeine Zeitung. Nella missiva, firmata anche da una schiera bipartisan di presidenti di regione e sindaci italiani, si ricorda il ruolo che ebbe l’Italia nel «dimezzare il debito» della Germania, evitandole il default dopo la II Guerra Mondiale, mentre l’Olanda viene descritta come il paese che «attraverso un regime fiscale agevolato sta sottraendo da anni risorse fiscali da tutti i grandi paesi europei. A farne le spese sono i nostri sistemi di welfare e dunque i nostri cittadini più deboli».

Considerata l’estrema complessità del momento, un’apertura teorica al lancio di titoli obbligazionari europei arriva dalla Bce, attraverso il suo vicepresidente Luis De Guindos che si dice favorevole ai coronabond ricordando tuttavia che questi non sono «né l’unico strumento di difesa, né tantomeno il più potente. Lo strumento più potente è senza dubbio la Banca centrale europea».

Il Consiglio Europeo ha quindi incaricato l’Eurogruppo di mettere sul tavolo, nella prossima riunione del 7 aprile, conclusioni adeguate e condivise per fronteggiare le gravissime conseguenze economiche che la pandemia ha provocato in questa Europa ancora troppo lontana da quella immaginata da Altero Spinelli.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo