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Napolitano e le “parole” di fine anno

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di LAVINIA ORLANDO

Venerdì 31 dicembre 2010. Ore 20:30. Nelle case degli italiani affaccendati nella preparazione dei cenoni è giunta la voce del Presidente Napolitano, nell’esercizio del potere di “esternazione atipico”, che ogni fine anno porta il Presidente della Repubblica in carica a fare un consuntivo dei 365 giorni appena trascorsi e a tracciare gli auspici del nuovo anno.


In questo caso si è trattato di un discorso incentrato e dedicato ai giovani, a coloro che hanno, soprattutto in questi ultimi mesi, animato ed impaurito la politica con manifestazioni, proteste e dibattiti, volti ad impedire l’approvazione della riforma Gelmini.

“I problemi che i giovani si pongono per il futuro sono gli stessi che si pongono per il futuro dell’Italia”, “c’è un distacco allarmante tra politica, istituzioni democratiche e società…”, “voi che mi ascoltate non siete semplici spettatori, perché la politica siete anche voi, in quanto potete animarla e rinnovarla con le vostre sollecitazioni ed i vostri comportamenti…”; sono solo alcune delle frasi di Napolitano, espressioni assolutamente encomiabili ed apprezzabili; talmente tanto condivisibili, da portare tutte le forze politiche e sindacali a commenti univoci ovviamente positivi. Certo, se si pensa che tra le voci entusiastiche può annoverarsi quella del Presidente Schifani, che ha parlato di “giovani come risorsa primaria da mettere al centro di una politica di sviluppo e di ricerca”, è difficile trattenere il sorriso (neanche a dirlo, amaro).

In ogni caso, sono stati numerosi i punti toccati da Napolitano: dai problemi legati alla globalizzazione ed alla crisi finanziaria alla necessità di abbattere il debito pubblico e rendere effettivamente cogente il pagamento delle tasse (la tanto auspicata ma mai riuscita riforma fiscale); dalla diseguaglianza nella distribuzione del reddito alla disoccupazione sempre più galoppante, specie tra le giovani donne; dal richiamo ai 150 anni dall’ Unità d’Italia alla necessità di prendere spunto e forza da chi ha prima di noi combattuto per liberare lo Stato dalla dittatura.

Come non condividere tutto ciò? Come non apprezzare l’enunciazione del “diritto dei giovani ad un futuro di possibilità reali cui accedere nell’uguaglianza dei punti di partenza”, come recita il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione? Come non sottoscrivere “la necessità di aprire ai ragazzi nuove possibilità di vita dignitosa”, al fine di salvaguardare il futuro degli stessi e dell’Italia tutta?

Vari dubbi, tuttavia, si insinuano nella mente di chi scrive: quanti e quali tra questi auspici potranno diventare realtà? In che misura la politica sarà in grado di attuarli, ma, sopratutto, c’è voglia nella classe dirigente, se non addirittura di realizzare, almeno di avvicinarsi a tali obiettivi?

Le belle frasi del Presidente appaiono come niente più che mere utopie, anche alle orecchie di chi, giovane destinatario delle stesse, magari attivo nella politica e nel sociale (e che per ciò stesso dovrebbe essere speranzoso e positivo), è consapevole che la situazione difficilmente cambierà.

Ciò vale per gli studenti, che devono sottostare a meccanismi viziati, caratterizzati da continui clientelismi, programmi e testi vetusti, tasse in costante aumento (e qualcuno provi a spiegare in quali termini la riforma Gelmini è in grado di correggere tali storture).

Analogo discorso vale per i laureandi ed i neo-laureati, che si affacciano nel mondo del lavoro, non con la consapevolezza di essere retribuiti, ma con la certezza di raggiungere lo status di sfruttati, con l’ansia di cogliere tutte le occasioni possibili e la necessità di avere plurispecializzazioni, in maniera tale da essere il più possibile versatili (si chiama flessibilità del mondo del lavoro ed è stata osannata in maniera trasversale da destra a sinistra).

Per non parlare della condizione dei ricercatori; conversare di questi tempi con donne e uomini che hanno scelto di lavorare al servizio della scienza significa dialogare con individui scissi, tra la consapevolezza di aver intrapreso una scelta professionale che, nella maggior parte dei casi, si risolve in un vicolo cieco e la persistente voglia di svolgere una professione che li appassiona, nonostante stipendi bassi e continui spostamenti.

Tali discorsi potrebbero essere riproposti per altre “categorie” di giovani, con il medesimo denominatore: estrema incertezza nel futuro unita alla percezione della totale inettitudine della politica.

Ben vengano, sicuramente, le parole di Napolitano e gli apprezzamenti dei politici tutti; tutto ciò non è, però, sufficiente, ci vogliono azioni concrete, fatti, disposizioni; c’è la necessità di una politica che sia vicina alla gente e che la smetta di farsi portatrice di esempi scadenti dal punto di vista morale (oltre che penale). Basta con le sole enunciazioni di principio. Quando si comincerà ad agire sul serio?