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Come una comunità

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di Lavinia Orlando

Differentemente da quanto si potesse immaginare, il primo giorno di green pass obbligatorio per i lavoratori, pubblici e privati, è scivolato via quasi come l’olio.

Poche proteste, nessuna interruzione di servizi, controlli svolti come se tale adempimento fosse la cosa più naturale di questo mondo.

Siamo ben lontani dalle immagini vergognose relative all’assalto fascista alla sede della CGIL di Roma, che si auspica rappresentino un’eccezione a fronte di un Paese che deve necessariamente fare fronte comune contro lo tsunami Covid-19.

Le discrepanze e problematicità connesse al green pass sono plurime: un obbligo fittiziamente definito come libertà di scelta non può che generare malumori e proteste, su cui inevitabilmente si innescano rigurgiti fascisti che non sono mai stati debellati nel corso dei decenni.

Per una volta, tuttavia, va sottolineata la scelta fatta dai più: milioni di italiani che, per le più varie motivazioni, hanno deciso di vaccinarsi.

Ci sono gli over sessanta, coloro che maggiormente rischierebbero – anche la vita – nel caso in cui contraessero il Coronavirus e che, gioco forza, hanno aderito alla campagna vaccinale più per autotutela che per altre ragioni.

Scendendo con l’età e giungendo man mano ai più giovani, la scelta del vaccino ha più spesso riguardato una valutazione che pensa alla collettività, in luogo di motivazioni individualistiche. Che sia per ragioni di tutela dei membri più anziani della famiglia, che sia per la necessità di ritornare ad un’ordinaria socialità, che sia per la consapevolezza che un’economia bloccata per altro tempo avrebbe generato conseguenze ancora più negative rispetto a quanto già accaduto, in particolare la fascia d’età che arriva fino ai quarant’anni ha dato ampia dimostrazione di quanto il nostro Paese non sia tutto da buttare.

L’Italia migliore e maggioritaria è quella che era in fila all’esterno dei centri vaccinali, sotto il caldo torrido, in attesa dello strumento che ci sta consentendo di riprendere a vivere, in netta contrapposizione con l’Italia – per fortuna minoritaria – che si nutre di paure e complottismi.

Il ragionamento è comune a molti: nonostante i rischi legati alla somministrazione dei vaccini – alla pari di qualsivoglia altro medicinale – tanta gente sceglie di vaccinarsi, non tanto per tutelare se stesso, quanto poiché appartenente ad una comunità, che deve necessariamente ripartire collettivamente e non per settori o fasce d’età. Se è vero che solo con un’alta percentuale di vaccinati è possibile raggiungere la c.d. immunità di gregge, il rischio di subire gravi conseguenze dalla somministrazione dei vaccini è infinitesimamente inferiore rispetto ai danni che la collettività ed i singoli che di questa fanno parte patirebbero certamente – e di cui abbiamo piena conoscenza, visto l’anno e mezzo da incubo appena vissuto.

In tanti, nonostante siano giovani ed in perfetta salute e, dunque, a rischio zero rispetto alle complicanze della malattia da Covid-19, hanno deciso di vaccinarsi, affinché nonni e genitori continuino a vivere, bambini e ragazzi riprendano una scuola piena ed in presenza, ristoratori e gestori di bar non chiudano, gli ospedali possano tornare ad occuparsi delle questioni di routine, tra cui i fondamentali controlli salvavita, si possa riprendere a viaggiare e centinaia di ulteriori motivi impossibili da citare integralmente.

Altro che la vittoria della nazionale di calcio in occasione degli Europei. Si tratta del più autentico senso di comunità che si sia sviluppato negli ultimi decenni e che dovrebbe rendere orgogliosi e tronfi tutti coloro che abbiano contribuito al suo raggiungimento.  

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