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La dura vita da Primo Ministro

“Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace. Di fronte a queste due cose, cosa preferiamo: la pace oppure star tranquilli con l’aria condizionata accesa tutta l’estate?”. Riflessioni intorno all’ultima, imbarazzante, esternazione di Mario Draghi.

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"Monetary Dialogue with Mario Draghi, President of the ECB" by European Parliament is marked with CC BY-NC-ND 2.0.

di Lavinia Orlando

Non ha alcun senso schernire un Primo Ministro in difficoltà – condizione in cui chiunque, anche il migliore possibile tra i governanti, si ritroverebbe vista l’attuale situazione mondiale.

Avrebbe, di certo, più logica riprendere le esternazioni di giubilo all’unisono che hanno accompagnato la nomina di Mario Draghi alla Presidenza del Consiglio, per confrontarsi con chi ebbe a pronunciarle e chiedere se, all’esito di più di un anno di governo, verrebbero riconfermate.

Tanto vale con riferimento all’ultima frase ad effetto pronunciata dal Premier c.d. illuminato, la quale rientra nell’ampio novero di affermazioni che, laddove provenienti da altri, avrebbero di sicuro generato una levata di scudi degna delle migliori sceneggiate italiane.

“Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace. Di fronte a queste due cose, cosa preferiamo: la pace oppure star tranquilli con l’aria condizionata accesa tutta l’estate?”

Che si tratti di un’esternazione quantomeno infelice o comunque eccessivamente semplificativa è fuori di dubbio. Che possa essere qualificata come uno scivolone è altrettanto chiaro. Che, infine, da un Presidente del Consiglio ci si aspetti concetti ed affermazioni ben più elaborati della frase appena citata è un’esigenza il cui rispetto l’intera comunità italiana dovrebbe pretendere.

L’ipocrisia provvedimentale che caratterizza la nostra politica, con un picco che si sta facendo sentire in particolare da quando è scoppiata la crisi russo-ucraina, è una delle maggiori problematiche del nostro Paese. E l’esternazione di Mario Draghi non è che la punta dell’iceberg di tale malcostume.

Invocare la pace e proporsi quale Paese mediatore, ma contemporaneamente inviare armi all’Ucraina e, nello stesso tempo, invocare il cessate il fuoco. Aprire le porte del nostro Paese ai profughi ucraini e, subito dopo, fare vanto della chiusura dei porti nei confronti di coloro – tutti gli altri stranieri – che profughi non sarebbero, come se ci fosse guerra solo nell’ex Stato sovietico. Condannare l’attacco russo, minacciare pesanti sanzioni, approvarne solo alcune, continuare a minacciarne di altre, ma non giungere mai ad un punto finale.

Sono questi solo alcuni degli esempi delle costanti contraddizioni che attraversano la politica che ci governa e che, per quanto le circostanze contingenti non siano delle più semplici, continuano a gettare discredito sul nostro Paese.

Si fanno così strada analogie tra l’attuale conflitto e l’epidemia da Covid-19. Quante volte, soprattutto durante la prima terribile ondata della pandemia, la politica ha giurato e spergiurato che avrebbe tratto un solo grande insegnamento dalla tragedia che si stava vivendo? Trattasi del ripotenziamento della sanità pubblica il cui smantellamento, per precise scelte politiche, va innanzi da decenni. Inutile precisare come, non solo l’intento non si è ancora concretizzato, ma, come in tanti avevano già preannunciato, sin dai momenti più caldi, difficilmente l’obiettivo potrà raggiungersi.

Il “ne usciremo migliori” era una chimera di cui tutti avevano piena consapevolezza, ma, se errare è umano, perseverare diventa diabolico: l’atavica incapacità di programmare e pianificare per tempo, di modo da non trovarsi spiazzati nel momento del bisogno, è quanto di più complesso possa chiedersi alla politica italiana, che continua imperterrita nel leitmotiv del navigare a vista. A meno che non si voglia accedere alla tesi per cui, volontariamente, essenzialmente per non scontentare i privati amici, non si voglia ritornare indietro.

Analogamente, tra le tante verità svelate dal conflitto in Ucraina, vi è la forte dipendenza del nostro Paese da altri Stati con riferimento all’approvvigionamento energetico. Praticamente chiunque, che sia dal governo o dalle minoranze, promette ora di trovare soluzioni. La paradossale alternativa posta da Mario Draghi deriva giustappunto da tale consapevolezza. È chiaro ed evidente che nessuno, né Draghi né i suoi predecessori, abbia preso in serio conto tale problematica prima che la guerra avesse inizio.

La sfida sta ora tutta nella capacità di analizzare la questione, trovare soluzioni alternative e non costringerci a vivere nella consapevolezza che, a parte le dichiarazioni a caldo, nulla potrà mai cambiare.

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