Mettiti in comunicazione con noi

Politica

La lunga attesa per un Mélenchon italiano

Una sola percentuale rende più di mille parole: 21,9. Trattasi del risultato raggiunto, al primo turno, dal candidato di sinistra alle elezioni presidenziali francesi.
Per molti, i milioni di voti riconosciuti a Jean-Luc Mélenchon hanno semplicemente premiato il candidato fuori dal sistema. Tale lettura è, tuttavia, eccessivamente semplicistica, stante il programma chiaramente antiliberista – e di sinistra: patrimoniale, incremento di salario e pensioni minimi, riduzione dell’età pensionabile e dell’orario di lavoro, rinazionalizzazione dei servizi pubblici.
E in Italia?

Avatar photo

Pubblicato

su

"Image" by Alain Bachellier is marked with CC BY-NC-SA 2.0.

di Lavinia Orlando

Una sola percentuale rende più di mille parole: 21,9. Trattasi del risultato raggiunto, al primo turno, dal candidato di sinistra alle elezioni presidenziali francesi.
Per molti, i milioni di voti riconosciuti a Jean-Luc Mélenchon hanno semplicemente premiato il candidato fuori dal sistema. Tale lettura è, tuttavia, eccessivamente semplicistica, stante il programma chiaramente antiliberista – e di sinistra: patrimoniale, incremento di salario e pensioni minimi, riduzione dell’età pensionabile e dell’orario di lavoro, rinazionalizzazione dei servizi pubblici.
E così, un po’ come gli USA di Bernie Sanders in occasione delle primarie democratiche del 2020, anche l’attuale Francia non può che generare l’invidia di tutti coloro che, nel nostro Paese, continuano a sentirsi orfani di una sinistra che torni a dire qualcosa e, soprattutto, ad essere ascoltata e ad avere rappresentanza.
Va da sé che chiunque si ostini a definire il Partito Democratico come una forza socialista mente sapendo di mentire. Basti pensare alle esternazioni pro Macron di tanti esponenti democratici, a partire dal Segretario Enrico Letta. Quando un partito decide di sostenere un candidato chiaramente centrista, definitosi liberista e che ha chiaramente rifiutato di essere qualificato come socialista, non si può indicare tale forza politica come di sinistra.
Il peccato originale, tuttavia, non risiede nella sola fondazione ed esistenza del Partito Democratico, andando altresì a rilevare la totale parcellizzazione delle forze politiche che avrebbero dovuto farsi portatrici di valori ed istanze di sinistra. Da una parte le continue ed inutili discussioni in merito alla maggiore o minore percentuale di sinistra da ciascuna forza assicurata, dall’altra la fondazione di partiti personalistici (si veda Sinistra Ecologia e Libertà), inesorabilmente defunti in seguito alla sparizione dallo scenario politico dei rispettivi leader (Nichi Vendola docet), il presente ed il futuro paiono davvero lugubri.
Basti pensare che, negli anni passati, molti ex militanti e simpatizzanti di sinistra hanno deciso di votare per il Movimento Cinque Stelle, il cui programma, in numerosi punti, è molto più antiliberale di quanto proposto ed attuato dal Partito Democratico, a tacere di coloro che, evidentemente fin troppo confusi, si sono buttati sulla Lega di Salvini.
A ciò si aggiunga l’ormai noto ritornello del voto utile, propinatoci in occasione di qualsivoglia consultazione elettorale. Perché disperdere la propria preferenza votando per uno dei tanti partitini di sinistra, quando, esprimendosi in favore del Partito Democratico, ci sarebbe la certezza di vedere uno o più rappresentanti nelle assemblee elettive? Per non parlare di quella parte di sinistra che, in occasione delle elezioni – politiche o amministrative che siano – torna sistematicamente ad allearsi con i Democratici, salvo riprendere a criticarne le scelte, neanche mezz’ora dopo lo spoglio – al riguardo, l’esito del congresso di Articolo Uno, con l’auspicio del gruppo dirigente di ritornare stabilmente nel, o col, Pd va esattamente nel senso inverso rispetto a ciò che dovrebbe farsi nell’ottica della costruzione di una seria sinistra.
Al riguardo, risulta purtroppo alquanto semplice azzardare un pronostico: nonostante l’incessante lamentela, i tanti italiani che si riconoscono in quelli stessi valori ed obiettivi portati avanti da Mélenchon continueranno a dover attendere tempi migliori per chissà ancora quanti altri anni.
Per troppo tempo, come il titolo provocatoriamente indica, ci si è affannati a ricercare il condottiero forte, dimenticando programmi, valori ed obiettivi. Nell’erronea convinzione che l’elettorato fosse spinto al voto quasi esclusivamente dalla presenza di un leader di peso, la sinistra italiana si è dimostrata incapace di rendersi appetibile elettoralmente dimenticando le tradizionali istanze del mondo dei lavoratori e rifuggendo piazze e strade per paura di debacle o, peggio, per assenza di argomentazioni.
È proprio da tali grossolani errori che si dovrebbe ripartire. Ritornare nelle fabbriche, ricostruendo, passo dopo passo, il rapporto con chi continua ad essere in posizione subordinata e a vedere i propri diritti sistematicamente calpestati. Dialogare con chiunque subisca vessazioni, sfruttando furbamente la circostanza di essere fuori dai palazzi e di poter, dunque, parlare liberamente senza sentirsi limitato dal rispetto di alleanze o di posizioni pregresse. Trattasi di un lavoro lento, che richiederebbe anni, e che non può essere approntato, come sistematicamente accaduto negli scorsi anni, a pochi mesi dall’appuntamento elettorale di turno, presi dall’ansia di non riuscire a dare vita neanche una lista di rappresentanza.
Si prenda spunto dagli altri Stati e ci si rimbocchi le maniche. Lo spazio elettorale per una forza di sinistra esiste, a maggior ragione in Italia. Si mettano da parte sigle ed estrazioni del DNA e si inizi a lavorare dalle basi e con le persone, senza fretta ed ansie.

Il popolo di sinistra resta in trepidante attesa.

RIPRODUZIONE RISERVATA ©