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Politica

La cultura dei due pesi e delle due misure

L’ultimo, ennesimo, episodio relativo a molestie sessuali in danno a donne, consumatosi a Rimini, in occasione dell’adunata degli Alpini, non è altro che la banale conferma del concentrato di problematiche di cui continua a soffrire la nostra società. 

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Credit foto "Touch" by Niccolò Caranti is licensed under CC BY-NC 2.0.

di Lavinia Orlando

L’ultimo, ennesimo, episodio relativo a molestie sessuali in danno a donne, consumatosi a Rimini, in occasione dell’adunata degli Alpini, non è altro che la banale conferma del concentrato di problematiche di cui continua a soffrire la nostra società. 

Differentemente da quanto solitamente avviene, con femminicidi o episodi violenti che si consumano in forma per così dire individuale e riservata, nel caso di cui sopra si sarebbe verificato un vero e proprio festival delle molestie – oltre centocinquanta, secondo le segnalazioni.

Trattasi di un’evidente prova dell’ancora imperante cultura patriarcale, permeata dall’insana idea di possesso, se non di vera proprietà, che il mondo maschile pretende di vantare nei confronti delle donne. Ed i numerosi commenti giustificazionisti che tendono a confondere l’atmosfera goliardica dell’adunata con i tanti episodi visti non sono altro che l’amara conferma dell’arretratezza culturale in cui continuiamo a vivere. 

A ciò occorre aggiungere la circostanza – attenuante, nell’idea di chi tende a sminuire i fatti – determinata dall’appartenenza dei presunti autori del reato all’Esercito italiano e, dunque, alle forze armate italiane. Nulla di cui meravigliarsi per il Paese in cui per individuare gli autori dell’omicidio Cucchi ci sono voluti ben più di dieci anni, solo grazie all’ostinazione di una famiglia che non si è accontentata delle prime, superficiali e poco veritiere, ricostruzioni. Anche per la vicenda del ragazzo romano, difatti, come nel caso delle violenze perpetrate nei confronti delle donne in occasione del raduno, si è tentato di addossare sulla vittima la causa del reato: la droga per Stefano, la minigonna o l’atteggiamento provocante per le donne – con quel famoso “se l’è cercata” che continua a farsi strada ogniqualvolta si parli dell’argomento.

In più, va evidenziata l’ulteriore attenuante – sempre considerando le categorie giustificazioniste – determinata dall’appartenenza etnica della stragrande maggioranza dei partecipanti alla manifestazione. Nell’idea di una certa politica o di un certo giornalismo la regola è chiara: il bianco italiano che lavora nelle Forze armate è sempre presunto innocente, talvolta anche successivamente alla condanna in via definitiva. Al contrario, il nero – italiano o non che sia – privo di lavoro stabile è colpevole a prescindere e l’esito di un eventuale processo a cui venga sottoposto resta del tutto ignoto, perché l’unico giudizio valido è quello determinato da fatti e circostanze, soprattutto somatiche, che col reato nulla hanno a che vedere – vedasi le dichiarazioni dei principali leader della destra nostrana per ricavarne conferma. 

A nulla serve, infine, evidenziare che, nonostante le tante segnalazioni, al momento ci sarebbe una sola denuncia presentata presso le competenti autorità, a significare, sempre secondo i soliti noti, che gli episodi non si sarebbero affatto verificati o non sarebbero poi così gravi. Anche quest’ultimo argomento denota la scarsa conoscenza della problematica, la cui portata risulta aggravata giustappunto da quel senso di frustrazione misto a vergogna, assenza di fiducia nei confronti delle Forze dell’Ordine ed illusione che quanto accaduto non si ripeta, che spinge molte vittime ad evitare di formalizzare l’episodio, così ponendo solide basi affinché il reato venga reiterato.            

Viene solo da chiedersi, per l’ennesima volta, quanti altri ulteriori omicidi e violenze saremo in grado di sopportare prima che si giunga ad affermare con solidità e fermezza che l’Italia deve emanciparsi da quella cultura patriarcale e razzista che è la madre di tutti i mali.

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