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Editoriale

La mesta fine dei migliori

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Credit foto https://www.youtube.com/watch?v=fT9I-f_tOJ8

Di Lavinia Orlando

Trascorsi alcuni giorni dalla conclusione del governo Draghi e dallo scioglimento delle Camere, ci scopriamo tutte e tutti nella medesima condizione in cui versavamo fino all’ultimo giorno in cui l’esecutivo c.d. dei migliori è rimasto in carica a pieni poteri.

Già solo tale constatazione, per quanto banale, rappresenta, nel mondo rovesciato di politica ed informazione italiana, una notizia di assoluto rilievo. In più, la circostanza che tale invarianza non attiri l’attenzione di chi dovrebbe, per mestiere, raccontare i fatti, rende sempre meno autorevole l’informazione nazionale, che continua a raccontare in modo del tutto parziale ciò che ci circonda – e stendiamo un velo pietoso circa il bassissimo grado di dignità della politica.

I tanti che con difficoltà sbarcavano il lunario prima, continuano ad andare avanti con i medesimi intoppi, così come chi, al contrario, aveva difficoltà nello scegliere le modalità più opportune per investire le proprie – abbondanti – sostanze, continua a trovarsi nel medesimo, piacevole, imbarazzo.

Checché ne dicano i guru del giornalismo nazionale, il nostro Paese non si è risvegliato in una valle di lacrime, o, meglio, la valle di lacrime già esistente, alla quale siamo oramai assuefatti, è rimasta inesorabilmente invariata.

Volendo tracciare un veloce bilancio dell’anno e mezzo di governo Draghi, risulta complicato individuare provvedimenti che abbiano davvero lasciato il segno. Insediatosi all’indomani dell’infornata di finanziamenti europei ottenuti da Giuseppe Conte – disarcionato, oramai è chiaro, proprio per fare in modo che su quei soldi ci fosse lo zampino dei soliti poteri forti che tutto controllano e non possono non controllare – Draghi non sembra aver così tanto inciso.

I sostenitori del Presidente del Consiglio uscente continuano ad affermare che, in sua assenza, il nostro Paese sarebbe andato alla deriva. Trattasi di congetture impossibili da dimostrare, ma che si scontrano con mesi di governo essenzialmente caratterizzati da un unico denominatore comune: il totale asservimento alle imposizioni NATO. Sotto il profilo della politica interna, si ignorano decisioni di rilievo, a parte la conferma di provvedimenti già in essere e l’approvazione delle misure necessarie ad evitare una vera e propria macelleria sociale – soprattutto con riferimento al caro carburante.

L’esperienza di Mario Draghi al governo dimostra, in sostanza, quanto divergente risulti la concreta realtà da una rappresentazione ideale o quanto, soprattutto nel marasma della politica italiana, non bastino le referenze più autorevoli, dovendo necessariamente fare i conti con le esigenze molto più prosaiche di chi siede in Parlamento.

La mesta fine dell’esecutivo dei migliori narra, in definitiva, di quanto anche la teoria della personalità autorevole in grado di risollevare tutto e tutti non possa più valere – o, forse, non abbia mai avuto valore. Idem dicasi rispetto alla recente moda degli esecutivi di unità nazionale, che vorrebbero la coesistenza di realtà tra di loro, almeno sulla carta, troppo divergenti.

L’auspicio che le elezioni del prossimo settembre rappresentino la rinascita della politica e di partiti e movimenti che siano in grado di confermare quanto affermino in campagna elettorale con scelte coerenti sul campo sembra essere alquanto lontano dal divenire realtà. Destra e sinistra – o conservatori e progressisti, o qualsiasi altra dicotomia si voglia utilizzare – devono tornare a significare ancora qualcosa. Per intenderci, non dovrebbe più avvenire che un banchiere sia considerato il portatore delle istanze progressiste o, ancora, dovrebbe essere la destra – e non il Partito Democratico – a farsi promotrice dell’invio selvaggio di armi. Sebbene le avvisaglie immediatamente successive alla fine del governo Draghi sembrino andare nel senso totalmente inverso rispetto a quanto auspicato, ci sia consentito, almeno per pochi giorni, di sognare una realtà più seria, coerente e concreta di quanto finora vissuto, nell’attesa di vedersi sommersi dalla consueta colata di insensatezze.   

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