Editoriale
Rapporto dalla Stalingrado d’Italia
In copertina, Giorgia Meloni sul palco in Via Sparano a Bari. (Foto presa dal profilo ufficiale Twitter di Giorgia Meloni)
di Alessandro Andrea Argeri
Sabato 16 settembre si è tenuto a Bari il comizio elettorale di Giorgia Meloni. Appena una settimana prima la Puglia era stata al centro di molte polemiche per le dichiarazioni del Governatore Emiliano: “Di qua non passeranno! Sputeranno sangue! Noi siamo la Stalingrado d’Italia!”.
Una campagna elettorale estiva combattuta quasi solo sui social. Qualcuno l’ha reputata “la più aggressiva mai inscenata”, ma in realtà i toni sono stati molto più accesi quando si parlava di green pass. Sicuramente è stata la più esilarante per una serie di ragioni: dai politici su tick tock ai memi del PD, dai litigi di Calenda su Twitter con un tizio con la foto di profilo di Yoda alle accuse di “linguaggio mafioso” all’unico leader disposto a parlare apertamente di lotta alla mafia, dai voli di Di Maio al saluto romano del fratello di La Russa, eccetera, eccetera, eccetera. L’impressione è quella di non aver mai vissuto una campagna elettorale.
Siamo in via Sparano, dove un buon fisheye può immortalare trenta metri come fossero sessanta, o novanta se il fotografo è anche un buon mago. Tra la folla si cammina fluidi. Ci sono i sostenitori armati di bandiere, ovviamente, ma anche gli oppositori, i carabinieri, i semplici curiosi, fra i quali figurano i turisti, da due anni sempre presenti a Bari. Originali o amarcord, girano slogan: “speriamo che sia femmina”, l’immancabile “prima gli italiani”, “difendere la famiglia e il ceto medio”. Mi guardo intorno: il mio amico ed io siamo i più giovani, l’età media del pubblico sembra infatti essere la somma delle nostre. La conferma arriva quando passa un gruppo di liceali: <<Meloni? Ce ne andiamo subito, non ci interessa!>>.
Palco gigantesco. Si comincia con la musica. Sembra di essere a un concerto. Il comizio è previsto per le 19, ma si parte con mezz’ora di ritardo. Nel mentre diventa un rave, qualcuno accenna due passi, in cinque minuti la location diventa un caso politico. <<Ha bloccato il lavoro!>> protesta un commerciante per le transenne davanti al suo locale.
<<Se non sanno organizzare un comizio, come possono organizzare uno Stato?>> domanda un altro apertamene.
<<Il comune ha dato l’autorizzazione per stare qua!>> ribatte un gruppo di Fratelli d’Italia quando le critiche diventano troppe <<La colpa è di De Caro, del PD, della sinistra!>> insomma, tra la gente la versione varia a seconda degli schieramenti: per i sostenitori di Meloni c’è stato un sabotaggio della sinistra egemonica, la quale avrebbe “imposto volutamente un luogo non idoneo”, per i suoi detrattori invece si tratta di un tentativo di “acchiappare” quante più persone possibili nella via più trafficata di Bari. In ogni caso, via Sparano è bloccata, divisa a metà. Per chi vuole solo transitare la sicurezza non transige: <<Dovete fare il giro!>> ordinano i carabinieri.
Improvvisamente lo speaker annuncia un nome come se si trattasse di un pugile appena salito sul ring: è Giorgia Meloni. A quel punto partono energici applausi. A meno di non essere vicini al palco, da lontano è impossibile scattare una foto, poiché i sensori della fotocamera si confondono. Grazie a questo molti lasciano i telefoni, incrociano le braccia, ascoltano. Si parla tanto di tasse, fisco, aziende, caro energia. Quasi nulla su diritti civili, rapporti con l’Europa, scuola, precariato, sanità. Poco anche in tema ambiente, sebbene proprio il giorno prima ci sia stata una tragica alluvione nelle Marche. Sulla guerra invece si sorvola completamente, sarà per ragioni di tempo.
Dal vivo Giorgia è come in televisione. È energica, usa un linguaggio comprensibile, diretto, si muove molto sul palco, tiene la scena. Se non fosse stato un politico, avrebbe sicuramente condotto con Cattelan. Alcune volte sembra Chris Rock, altre Rick Ross. Non è arrabbiata come quando ha parlato per Vox, in campagna elettorale ha adottato la versione soft di sé stessa. Comunque, la strategia comunicativa funziona.
C’è chi si accende allo “Stato che ti chiede il pizzo”, al “noi difendiamo gli interessi nazionali”, al “cari amici della sinistra, dopo il voto si cambia musica”. Qualcuno sembra credere alla distopia sul “decreto legge dei nomi dei pesci in latino”. Altri invece scuotono la testa quando si parla di flat tax, aborto, reddito di cittadinanza “che diamo ai giovani per non lavorare”, tuttavia Giuseppe Conte non è mai citato, la furia è tutta sul Pd nonché sul Governatore Emiliano. Sull’assistenzialismo Meloni si mantiene cauta. “Modificare”, non “abolire”, “distinguere chi può lavorare da chi non è in grado di farlo”, “aiutare”, non “assistere”.
Ad ogni modo, indipendentemente dal pensiero politico, le espressioni sui volti del pubblico sono quelle della devozione verso un leader già proclamato. Le elezioni sono il 25, eppure il 16 settembre sembriamo aver già votato. Forse per questo dopo le prime battute del premier in pectore il comizio in sé non interessa più. Il confronto diventa tra cittadini, tra due visioni opposte di concepire l’Italia. <<Proviamo con lei, è l’ultima rimasta…>>, mormorano un po’ tutti mentre i sostenitori più accaniti elogiano con ardore. Ad ogni frase di Meloni, le prime due file gridano: <<Magnifica Giorgia>>, <<Non sanno più come fermarla>>, <<Preparatissima! Lei è la migliore>>. <<Da dieci anni comanda la sinistra, ma questa volta vinciamo noi!>> è il ritornello tra chi porta le bandiere.
Il malessere è tanto, soprattutto tra i lavoratori. <<Se andassi io al governo…>> propone un signore <<Come prima cosa darei le pensioni. Chi lavora veramente non può lavorare quanto dicono loro. Io verso i contributi per tutta la vita, poi non ci sono i soldi. L’INPS dove li spende?>>. Ma il premio politicamente scorretto va a un altro. <<Sono tesserato PD da dieci anni! Sì, sono di sinistra! Ma questa volta voterò Conte. Non mi è piaciuta la strategia del PD. Letta e Meloni mi sembrano uguali. Però io sono qui solo per sentire che dice!>>. Appena Meloni alza il tono, sempre lo stesso prova una battuta: <<Fa la pescivendola per imitare le nostre “barivecchiane”>> ride da solo. Passa un po’ di tempo. <<Oi, ma mi tieni anonimo, vero?>>. Io invece anche dopo dieci minuti continuo a trovare Giorgia Meloni molto calma, più serena rispetto a quanto sembra in televisione, sarà perché veramente mi aspettavo una prestazione come quella spagnola. Dopo mezz’ora la leader di FDI comincia ad accusare un po’ di stanchezza, così lascia definitivamente andare la cadenza della Garbatella. Il pubblico sembra apprezzare poco, tuttavia sorvola. Dalle ultime file arriva una battutaccia: <<L’interprete traduce anche il romano?> alcuni ridono, altri gli rispondono per tono. Litigano, mi allontano.
<<Sono una donna. Come faccio a votarla?>> mi domanda una donna appoggiata a una transenna <<Non basta essere donne per assicurare la parità di genere! Lei sembra uscita dal Medioevo!>>. Una signora più anziana le ribatte subito: <<Ragazzina, dove siete quando in Parlamento vi tolgono i diritti?>>. Cominciano allora a discutere sui diritti civili, così si finisce a parlare di aborto, all’improvviso dalla “ragazzina” di quarant’anni arriva la definizione più bella della serata, alla quale concordano tutti: <<L’emancipazione è una questione di apertura culturale, non di genere. Una persona emancipata vuole libertà e uguaglianza!>>
<<Sono di destra!>> dichiara subito un’altra signora <<Alle precedenti elezioni ho votato Salvini, ma ora voterò lei>> dice riferita a Meloni <<Lei è stata sempre coerente. Come faccio a votare chi ha sostenuto il green pass e il governo delle banche?>> da lì parte tutta una sciorinata sui danni dei vaccini, anche se confrontare quanto accaduto con la dittatura pare un po’ eccessivo. Con lei c’è il marito, il quale si limita a dire: <<L’hanno accusata di fascismo, ma per me siamo già in dittatura. Ci stanno razionando tutto, dai metri cubi di acqua ai kilowatt della luce. Questa è limitazione delle nostre libertà!>> ripete più volte: <<Io mi sento privato delle mie libertà!>> intorno annuiscono, nei volti c’è stanchezza. Gli italiani sono provati dalle continue crisi, ma per esserlo non serve necessariamente aderire ad un determinato partito.
Finisco a parlare con un arzillo settantenne. <<Mio padre perse il lavoro perché rifiutò la tessera fascista, poi dopo l’8 settembre andò a combattere partigiano. Meloni ha provato a fare come i vecchi partiti, che facevano grandi mobilitazioni. Ma i tempi sono cambiati, a nessuno importa più della politica, molti hanno deciso sul telefonino, il sabato sera fanno altro. Poi qua a Bari le è andata male>>
<<Perché?>>
<<Le bandiere sono poche. Guardi che questa è una città di sinistra! Ha ragione Emiliano! Da qui questi se ne vanno male!>> il signore è sicurissimo, così gli domandò: <<E se invece vincessero?>>
<<Non sarà a Bari e non vinceranno>> esclama fiero della sua città <<Altrimenti avremmo eletto Fitto un anno fa!>> quando allora gli chiedo chi sarà il vincitore mi risponde immediatamente: <<Conte! È l’unico di sinistra. Però io voterò PD, è quello il mio partito!>> dopodiché il signore mi elenca tutte le elezioni a cui ha partecipato, i presidenti del consiglio a cui ha assistito, le poche volte in cui ha indovinato il Presidente della Repubblica.
Terminato il comizio, Giorgia accenna un balletto prima di congedare il suo pubblico, il quale applaude con la solita ovazione. Appena la leader se ne va, anche la folla comincia a dileguarsi. A quel punto poco lontano dal palco parte la contestazione, ma contro un gruppo di sostenitori. Si sente gridare: <<Fascisti>. Un altro, per provocare, risponde col saluto romano. I compagni lo riprendono subito: <<Ma che fai? Vuoi stare fermo, tu?>> tuttavia è già troppo tardi. Non appena dalla contestazione lanciano una bottiglia, i diretti interessati accettano l’invito senza troppe lusinghe. Vanno sotto, volano, insulti, minacce, bandiere.
Insomma, a più o meno venti metri dalla sicurezza scoppia una rissa tra estremisti, perché tali sono da considerarsi i violenti. In entrambi gli schieramenti infatti c’era solo voglia di picchiare, di sfogare la rabbia, non di ascoltare un comizio elettorale. Siccome si sono appartati, non c’è minaccia all’ordine pubblico. Eppure quello è il culmine della nostra Italia tanto divisa, così mi domando: il nuovo Governo, qualunque sarà, riuscirà a tenere unito il Paese? “Dio, Patria, Famiglia”. Dio, unisci come una buona famiglia. Chissà chi ha vinto. Non vorrei essere il premier. Buona fortuna, a chiunque vincerà!
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