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Editoriale

“Se non hanno acqua da bere, bevano vino”

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In copertina, “Baccanale con un Tino di Vino”, Andrea Mantegna (Wikimedia Commons, dominio pubblico).

di Alessandro Andrea Argeri

A giudicare dalla siccità, quest’estate la danza della pioggia non ha funzionato. Le uniche precipitazioni sono state delle bombe d’acqua, quasi come se madre Natura avesse voluto rimproverarci con liquidator grandi quanto gli Himars americani. L’arrivo dell’autunno inoltre non ha portato l’effetto sperato, forse il periodo autunnale non è nemmeno arrivato. Solo un settore ha retto bene al caldo torrido di quest’anno: il vinicolo, con una produzione sui 50,27 milioni di ettolitri, leggermente superiore a quella dell’anno precedente, dunque un 3% in più rispetto alle medie 2017/2021.

Uno studio del centro di ricerca giapponese Riken ha inoltre dimostrato l’efficacia del trattamento del terreno con etanolo per aiutare la flora a sopravvivere durante i periodi di siccità. In pratica le piante potrebbero essere innaffiate con piccole quantità di alcol: è come se la natura decidesse di alcolizzarsi. Da qui il titolo provocatorio di questo articolo: “se non hanno acqua, bevano vino”. La produzione artistica leopardiana passa dal concetto di “Natura benigna” a quello di “Natura Maligna”. Saremo dunque noi a compiere il terzo salto, verso la “Natura bevigna”.

Certamente gli eventi naturali estremi ci sono sempre stati, tuttavia la frequenza o la rapidità con cui avvengono è il vero problema. Nel periodo 1961-1990 la temperatura media annuale si aggirava sui 13 gradi centigradi. Negli ultimi trent’anni si sono registrati picchi con una media superiore a 1,7 gradi. Con questo ritmo per fine secolo potremmo salire di 5,9 gradi. A tal proposito, dal 2001 abbiamo avuto anni sempre più caldi, con un incremento di 0,8 gradi. Entro il 2100 avremo temperature medie stagionali superiori di 5 o 6 gradi. In altre parole, se nelle ultime estati abbiamo toccato punte di 45 gradi, i 50 sono prossimi. Secondo il Cmcc, se riuscissimo ad intervenire subito attraverso il blocco delle emissioni, potremmo riuscire a contenere l’aumento su un +1,3 – +1,7 gradi.

I passaggi bruschi dal caldo al maltempo determinati dallo sfasamento regionale sono i sintomi della nostra tropicalizzazione. Se l’assenza di pioggia è un problema per le coltivazioni, lo è anche l’estremo opposto. Precipitazioni improvvise di breve durata causano frane, smottamenti, alluvioni, inoltre non contribuiscono nemmeno a risolvere il problema della desertificazione per la ristrettezza della zona in cui si verificano. I campi vengono devastati, mentre le poche aziende agricole sopravvissute rivendono i prodotti a prezzi rialzati, senza tuttavia guadagnarci. Sebbene infatti ci sia stato a luglio un incremento dal +10,8% per la frutta al +11,8% per la verdura, questo non rende ovviamente gli agricoltori più ricchi, in quanto i concimi sono aumentati del +170%, i mangimi del +90%, il gasolio del +129%. Il ricavo della produzione quindi, seppur a prezzo rialzato, non copre i costi di produzione. Ebbene, in simili circostanze ci andrà di mezzo anche il beneamato vino.

Sempre secondo Cmcc, già entro il 2050 gli effetti del cambiamento climatico potrebbero costare al nostro paese una perdita del 2,2%, 36 miliardi di euro, ma si potrebbe anche toccare quota 8%, ovvero 116 miliardi. Spiegato più concretamente: se il PIL è il prodotto interno lordo, cioè quanto viene prodotto, un suo calo significa aziende chiuse, disoccupazione, povertà.

Questo in Italia sarebbe un’altra catastrofe, considerato come il settore agricolo costituisca il 4,8% del PIL, mentre solo al Mezzogiorno il 45,7%. La precisazione può apparire scontata, invece è necessaria, altrimenti non saremmo arrivati al punto di reggere la nostra produzione agricola su un filo di “appena” due gradi. Il nostro Paese è dunque più scoperto rispetto agli altri non solo dal punto di vista ambientale, bensì anche sotto quello economico.

A rischio però non è solo il pil, l’export, l’agricoltura, l’economia: il nostro territorio rischia di diventare arido, di convertirsi in una zona desertica. Insomma, anni di dibattito contro le rinnovabili per difendere il paesaggio naturale, quando quest’ultimo verrà distrutto proprio perché continueremo a perdere tempo, con tanto di beneplacito di sindaci, comitati nati ad hoc, politicanti vari.

Secondo Legambiente ogni anno l’Italia spende in media 1,55 miliardi per le emergenze ambientali, di questa cifra i fondi per la prevenzione sono un quinto di quelli stanziati per la riparazione. In altre parole: spendiamo un sacco per riparare anziché per prevenire il guasto. La mortalità legata al caldo è strettamente collegata alle ondate di calore. Se a queste aggiungessimo anche le morti causate da alluvioni o eventi avversi, finalmente ci accorgeremmo di come quella climatica non sia solo un’emergenza, bensì una guerra.

Per salvare il salvabile sarebbe necessario limitare le emissioni, sia delle grandi aziende sia dei singoli cittadini, magari anche con piccoli gesti quotidiani, tra cui la scelta di votare rappresentanti pubblici interessati all’ecologia, in un Paese in cui nel 2022 le rinnovabili realizzare dai privati sono bloccate dalla burocrazia, mentre i Governi centrali non sanno dove investire. Secondo Coldiretti, la siccità ha causato danni di oltre 6miliardi. Ma il mondo non è una bestia senza guinzaglio, siamo noi dei pessimi padroni, anche perché avremmo dovuto essere dei “gestori”, non dei controllori.

Fonte:

Nova Lectio, Alluvioni devastanti e siccità. L’Italia è già un paese tropicale?, Youtube.

https://www.riken.jp/en/news_pubs/research_news/pr/2022/20220825_2/index.html

https://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/vino/2022/09/14/vino-batte-siccitaquantita-3-supera-media-ultimi-5-anni_3a3df4cc-7804-408b-84de-e5d8165882c1.html

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).