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LAZIO REGIONALI 2023. INTERVISTA A BENEDETTA PIOLA CASELLI

Il 12 e il 13 febbraio, il Lazio sarà chiamato al voto per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio Regionale. Appuntamento elettorale importante anche in chiave nazionale. Questa settimana intervistiamo Benedetta Piola Caselli, avvocato, attivista e candidata con la lista “Polo progressista di sinistra ed ecologista”.

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Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Il 12 e il 13 febbraio, il Lazio sarà chiamato al voto per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio Regionale. Appuntamento elettorale importante anche in chiave nazionale. Questa settimana intervistiamo Benedetta Piola Caselli, avvocato, attivista e candidata, in tandem con l’avvocato Francesco Ricciardi, con la lista “Polo progressista di sinistra ed ecologista”.

Piemontese e cittadina del mondo perché hai scelto Roma come sede lavorativa?

In realtà la mia famiglia è piemontese però io sono nata a Roma e ci sono anche cresciuta. Ho studiato al liceo Visconti e ho fatto la mia prima laurea, quella in scienze politiche, all’università « La Sapienza ».

A Torino sono andata per la mia seconda laurea, quella in giurisprudenza, perché c’era una ottima scuola di diritto comparato e, in seguito, ho fatto anche il dottorato, la pratica forense in Avvocatura di Stato e l’esame da avvocato.

Io considero Torino alla mia seconda casa; quello per me è stato un periodo molto felice.

A Roma sono tornata dopo un lungo periodo in Africa, in Mozambico e Togo, dove lavoravo con la cooperazione internazionale, prima con l’ ONG ISCOS e poi con per la Commissione Europea. Riabituarsi a Roma per me non è stato facile: è una città magnifica, ma anche molto faticosa; rispetto a Torino il modo di vivere è molto diverso. Devo dire però che poi ti conquista con la sua bellezza, e questa bellezza vince su tutto…direi da millenni, ormai.

Come coniugare legalità e accoglienza?

È una domanda difficile, e può essere interpretata a più livelli.

Quando si parla di migranti è facile scadere o nella retorica buonista oppure nell’intolleranza, e sembra che una terza via non sia possibile.

Certo viviamo in una società che diventerà multiculturale per forza di cose, e dobbiamo rendere questo passaggio il più fertile e felice possibile.

Personalmente considero la diversità ed il confronto un valore, però capisco bene anche il disagio che questi possono comportare: sono convinta che la chiarezza ed il buon senso aiutino sempre ad orientarsi.

In qualche modo, una comunità nazionale che accoglie uno straniero è come un padrone di casa che accoglie un ospite: è il padrone di casa che fa le regole, e l’ospite le rispetta; però ci devono essere delle aperture per rendere il più possibile facile la convivenza.

Non è facile trovare un criterio di giudizio che valga sempre, quando ci si riferisce a culture diverse.

Pensiamo per esempio alla bambina che subisce mutilazioni sessuali, o alla ragazzina costretta a portare il velo dal padre, o alla giovane sposa che non vuole accettare il marito che la famiglia le ha scelto.

Come giudicare questi casi?

Io direi che la prima risposta va cercata nei principi fondamentali della Costituzione e dei principi di diritto: e così già sappiamo che dobbiamo proteggere sia l’integrità fisica che l’integrità morale della bambina e della donna.

Non sono e non saranno mai ammissibili le mutilazioni genitali nel nostro paese e, se qualcuno ne invoca la liceità sostenendo che altrimenti la bambina non potrà sposare qualcuno del suo stesso gruppo etnico, gli si risponderà che questo non è un problema dello Stato italiano; non sono e non saranno mai – meglio dire: non saranno più – possibili i matrimoni forzati: la ragazza sarà sempre libera di scegliere il marito che le conviene, e lo Stato italiano le assicurerà protezione anche contro la sua stessa famiglia.

Però, per quello che riguarda altri usi che sono specificamente culturali, io non vedo problema ad adattare il nostro sistema alla necessità di accogliere chi ha tradizioni diverse.

Per esempio, non vedo alcun problema nel permettere alle bambine ed alle ragazze di portare il velo, anche perché è la nostra Costituzione che prevede l’uguaglianza di tutte le religioni, e la pratica religiosa può comportare anche alcune richieste a livello di vestiario o di tabù alimentare; per lo stesso motivo direi che le mense della scuola dell’obbligo debbano offrire un menu che possa essere mangiato da tutti i bambini.

Possiamo imparare molto dall’esperienza degli Stati stranieri di più antica immigrazione, che spesso usano i « cultural test », cioè delle griglie di valutazione per capire se un certo uso è autenticamente culturale e radicato – e quindi deve essere preso in considerazione dallo Stato e rispettato – oppure non lo è.

Cosa significa fare politica oggi?

Significa prima di tutto tornare i grandi temi e smetterla con la distrazione di massa.

Quello che sta succedendo mi sembra evidente: si continuano a proporre come fondamentali degli argomenti che sono assolutamente risibili.

Credo che ormai se ne stiano rendendo anche conto anche i sassi: abbiamo di fronte delle sfide enormi, epocali, ma anziché concentrarci sul modo di affrontarle, continuiamo a distrarci con cose di importanza infinitesimale,  come il Ministro che non ha non ha detto grazie alla cameriera – un tema che ci ha tenuto in ballo per giorni – ;  la Presidente del Consiglio che vuole farsi chiamare – summa iniuria!- Presidente e non Presidentessa; una parola fuori posto che diventa una tragedia politica, come fu nel caso del « tu » dato all’onorevole Sumahoro, quando ancora era in auge; eccetera.

Quanto tempo spendere su queste cose?

Perché il tempo e le risorse, anche mentali, hanno un limite e, se uno le utilizza per dibattere dell’abolizione della distinzione uomo/donna nei gabinetti, perché discriminatoria, poi per discutere di ambiente, scuola, sanità, tutela della fragilità, trasporti pubblici, patrimonio artistico, non c’è più spazio. 

Quindi: si ai temi veri, e basta con le sciocchezze.

Fare politica significa significa però anche tornare ai due problemi principali della gestione pubblica: quali sono le scelte di fondo per investire le risorse , e se questi vengono amministrati bene o si disperdono nella corruzione generale.

Come è possibile salvare la sinistra?

La sinistra si salverà solo ed esclusivamente se tornerà a fare la sinistra, cioè ad occuparsi di povertà.

Cosa ti ha spinta a candidarti con il polo progressista e di sinistra?

In realtà io non avevo mai pensato alla politica, ed è stata la mia esperienza professionale che mi ha portato passo passo. Come avvocato io mi occupo infatti di fragilità, e mi rendo conto di quanto sia latitante lo Stato, anche nelle sue espressioni territoriali, per tutto quello che riguarda minori, giovani adulti, anziani, disabili, tossico dipendenti. Quello che però mi ha spinto a presentare la mia candidatura, è il fatto di essere entrata in contatto con una serie di cose che avrebbero potuto facilmente essere evitate, e che non lo sono state sostanzialmente per sciatteria.

Penso ad esempio ai dispositivi di protezione destinati alla Protezione Civile durante l’emergenza COVID, che sono stati pagati un prezzo assurdo, sono scomparsi dalla dogana, sono ricomparsi per poi essere rivenduti sul mercato privato, e si sono rivelati anche non conformi alle disposizioni regolamentali; penso a come è stato applicato il 110%, con iperfatturazioni anche di 4 o 5 volte il prezzo reale dei beni.

Adesso arriveranno anche i soldi per il Giubileo, ed è tutto da vedere come saranno utilizzati.

Ho pensato che per carattere ed esperienza professionale io possa essere veramente d’aiuto nel controllo del denaro pubblico: ho la capacità, e l’attenzione, e l’ossessione per lo studio e la valutazione dei contratti di appalto, e la forza di carattere ed il disinteresse necessario per denunciare eventuali storture.

Mi è sembrato che il polo progressista e di sinistra fosse molto attento a queste problematiche.

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Cosa può fare la regione per sostenere il cittadino in stato di fragilità?

Può fare molto ma ovviamente vanno pensate delle politiche sociali efficaci.

Una che mi sta particolarmente a cuore e su cui la Regione, insieme ai Comuni, può intervenire è la rete delle semi-autonomie, cioè l’accoglienza supplementare che si dà ai ragazzi fra i 18 e i 21 anni che hanno terminato il loro percorso in casa famiglia, ma che hanno delle problematiche particolari.

Infatti, con la maggiore età, i ragazzi devono lasciare le strutture che li hanno accolti sino ad allora perché si ritiene, quasi sempre a torto, che siano ormai pronti per inserirsi autonomamente nella società. Questi ragazzi vengono però spesso da contesti inadatti, che non possono raccoglierli; oppure non hanno nessuno da cui tornare; oppure sono traumatizzati: in breve, spesso hanno bisogno di continuare il loro percorso in un contesto protetto ancora per un po’.

Il problema delle semi autonomie è poco affrontato nel dibattito pubblico, perché un diciottenne fa poca tenerezza, è poco mediatico.

Ma il diciottenne sbattuto sulla strada, che non ha altre risorse, andrà a delinquere; se invece rientrerà in un contesto inadatto, facilmente potrà sviluppare comportamenti disfunzionali.

Questi sono costi sociali che lo Stato dovrà poi affrontare, e che saranno maggiori dell’investimento nella semi-autonomia.

Di fronte al genio della lampada. Quali desideri esprimi?

Per la regione Lazio forse non basterebbe il genio della lampada, servirebbe proprio Gesù Cristo.

Mi viene in mente quel vecchio detto di Tommaso Moro che dice: «  avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare, e la saggezza di distinguere le une dalle altre » .

Io la metterei così: « avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, la saggezza di distinguerle da quelle che mi sembra di non poter cambiare, e l’intelligenza di trovare una strategia per cambiare quello che mi sembra incambiabile ».

La Costituzione è stata tradita?

Sì, io credo che la Costituzione sia stata tradita con la nostra partecipazione al conflitto ucraino, ed è stata tradita molte altre volte, direi tutte le volte che le si è voluto far dire qualcosa che chiaramente non dice.

In un’altra epoca storica qualcuno aveva gridato « torniamo allo Statuto! »; bene: per fare della buona politica, è ora di gridare « torniamo alla Costituzione »

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