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Migranti, la tragedia silenziosa

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di FLAVIO DIOGRANDE

Da diverse settimane ormai l’attenzione generale è comprensibilmente assorbita dalla pandemia globale che, oltre a generare grandissima sofferenza, ha stravolto le abitudini e finanche alcuni preconcetti. Alcuni, non tutti. Sul tema dell’immigrazione, ad esempio, l’Europa continua a non avere una linea univoca, lasciando che ogni singolo Stato si occupi di questo dramma adottando provvedimenti affini al sentimento nazionalpopolare del momento. Il coronavirus continua a mietere vittime in quasi tutto il mondo, ma la voglia di inseguire un sogno di pace e libertà in cui potersi riconoscere non conosce frontiere, né limiti.


«È terribile dover sapere che la gente continua a rischiare la vita solo perché ha il desiderio di vivere – spiega il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento –. È vero che questo è un momento particolare per tutti. Noi dobbiamo difenderci dal coronavirus, ma ritengo che questo non sia l’unico motivo per dimenticarsi dei migranti o non parlarne, o accusarli di peggiorare la situazione. L’Europa non vuole altra gente, dimentica di essere vecchia e non guarda al futuro. L’Europa dovrebbe essere capace di attrezzarsi per sapere accogliere e individuare chi ha bisogno dell’aiuto sanitario. Ora – ha proseguito Sua eminenza Montenegro – con la bella stagione in arrivo, torneranno i barconi e noi non possiamo ogni volta meravigliarci perché qualcuno affonda e muore, dire poi ‘poveri bambini e povere donne’, ma già lo sappiamo in anticipo che tanti di quei bambini e quelle donne finiranno a fondo».

Negli ultimi giorni sono riprese le partenze di migranti dalla Libia: diverse le emergenze segnalate dal centralino Alarm Phone – la linea telefonica d’emergenza, creata per dare ai migranti la possibilità di chiedere soccorso in qualsiasi momento – e dalla Ong presente nel Mediterraneo, la tedesca Alan Kurdi.

Domenica scorsa sono arrivati a Pozzallo in maniera autonoma 77 persone che successivamente, a causa delle difficoltà di gestione dell’hotspot legate all’emergenza coronavirus, sono state trasferite in un altro Centri di primo soccorso e accoglienza: «E’ arrivato un barcone con 77 migranti e noi – ha affermato Roberto Ammatuna, sindaco della cittadina ragusana – non eravamo per nessuna ragione in grado di accoglierli nell’hotspot in cui già c’è un quindicenne, arrivato con altri 49 migranti qualche giorno fa, e positivo. Ce ne siamo accorti noi. L’abbiamo messo in isolamento. Ora faremo tamponi anche al personale che lì lavora. La sensazione è stata quella di essere stati traditi, presi in giro. Noi ci siamo sempre stati per l’accoglienza. Facciamo il nostro anche in piena epidemia. Però nella filiera di accoglienza qualcosa non ha funzionato».

Nel frattempo, il recente decreto interministeriale in cui viene sancito che l’Italia non è più un “luogo sicuro” per lo sbarco di profughi a causa dell’emergenza covid-19 impedisce a questi ultimi di essere accolti sulle coste italiane, sicché i 156 naufraghi da diversi giorni bordo della Alan Kurdi, dovrebbero trascorrere il periodo di isolamento sulla nave “Azzurra” della Gnv, appositamente attrezzata per la quarantena, come disposto dal provvedimento firmato dal capo della Protezione Civile Angelo Borelli.

Contro il decreto firmato da Di Maio, Lamorgese, De Micheli e Speranza – secondo cui, in pratica, se il soccorso in mare non è coordinato dall’Italia i naufraghi sono destinati a sbarcare nel paese del quale la nave batte bandiera – insorgono le Ong Sea-Watch, Medici Senza Frontiere, Open Arms e Mediterranea: «Con un decreto il cui scopo evidente è quello di fermare le attività di salvataggio nel Mediterraneo, senza fornire alternative per salvare la vita di chi scappa dalla Libia, l’Italia ha privato i suoi porti della connotazione di ‘luoghi sicuri’, propria di tutti i porti europei, equiparandosi a Paesi in guerra o dove il rispetto dei diritti umani non è garantito e operando una selezione arbitraria di navi a cui l’accesso è negato. Sarebbe stato possibile trovare molte soluzioni diverse, conciliando il dovere di garantire la salute di tutti a terra con quello di soccorrere vite in mare, un dovere che non può mettere sullo stesso piano le navi di soccorso con le navi da crociera».

Infine, secondo la delegazione in Libia dell’Oim – l’Organizzazione per le migrazioni delle Nazioni Unite – i migranti dell’imbarcazione di cui Alarm Phone aveva perso le tracce nei giorni scorsi sarebbero stati ritrovati su un peschereccio giunto nel porto di Tripoli. Purtroppo nella barca ci sarebbero diverse persone morte dopo giorni in mare in attesa di essere soccorsi, mentre altri sarebbero spariti tra le onde.

Maurice Stierl – cofondatore di Alarm Phone –  spiega in un’intervista come sia peggiorata la situazione nel corso degli ultimi anni: «Si è deciso di costruire nuovi muri, limitare ulteriormente i movimenti, restringere la concessione dei visti e criminalizzare le organizzazioni non governative che lavorano nel Mediterraneo. Inoltre, da qualche anno si punta alla cosiddetta esternalizzazione delle frontiere, ovvero a fermare i migranti prima ancora che arrivino alle porte dell’Unione. La strategia è fornire ai Paesi di transito, come il Niger, soldi ed equipaggiamento per rafforzare i loro confini. Risposte che, in base alla nostra esperienza, stanno andando nella direzione sbagliata: non fermano le migrazioni ma costringono le persone a spostarsi su altre rotte, più costose e insicure».

Sulle accuse alle organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo di essere in combutta con i trafficanti, Maurice Stierl ha le idee chiare: «Non è un segreto che le autorità dell’Unione cooperino e finanzino la guardia costiera libica, ripetutamente accusata di violare i diritti umani, nonché coinvolta nel traffico di persone, tanto che alcuni suoi esponenti sono al tempo stesso ufficiali e trafficanti: detengono i migranti nei campi di prigionia, li rilasciano sotto il pagamento di un riscatto e li fanno partire, per poi andare a riprenderli con le navi della guardia costiera. Ma crediamo che il problema sia una conseguenza della politica adottata dall’Europa riguardo alle proprie frontiere: quando le persone non hanno a disposizione canali legali per attraversare il Mediterraneo, non possono far altro che rivolgersi agli scafisti».

Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, dal 1 gennaio 2020 al 15 aprile 2020 sono sbarcati in Italia poco più di 3000 persone. Probabilmente, in un’Italia più aperta, sorretta da un’Europa più solidale, inclusiva e socialmente equa, 3000 persone riuscirebbero davvero a coronare il loro sogno di pace e libertà.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo