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Società

Anni di piombo, è tempo di grazia o di giustizia?

Non si può cancellare così una pagina di storia ancora da scrivere. Assicurare la dignità del condannato e sostituire la detenzione in carcere con altre misure è giusto. Archiviare tutto no.

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Credit foto ho visto nina volare CC BY-SA 2.0 license

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Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Un tempo si chiamava Ministero di grazia e giustizia. Grazia e giustizia, l’essenza di ogni ordinamento penale democratico. La necessità di assicurare la giusta pena, ma anche la necessità di umanità e clemenza verso il reo, con lo scopo di reinserirlo nella società. Il nostro sistema giudiziario/carcerario ha molte criticità.  Si parla molto, anche a sproposito, di giustizia. Poco spazio, invece, per la grazia. Tranne alcune eccezioni. Dopo l’arresto degli ex terroristi rossi che avevano trovato rifugio in Francia, molti hanno invocato grazia, clemenza. Si chiedono che senso ha mettere in carcere persone anziane, dopo tanti anni. Dal punto di vista normativo, la risposta è chiara. Hanno condanne definitive, sono latitanti. Devono essere portati in Italia e scontare la pena, nelle modalità compatibili con le singole condizioni di salute. La legge è uguale per tutti, anche per loro. Un qualsiasi atto di clemenza spetta al  Parlamento o al Presidente della Repubblica. Ci sono spazi per atti di clemenza in questo caso? Molti di loro non sono solo latitanti ma non hanno mai mostrato pentimento, spesso non riconoscono nemmeno la legittimità dello Stato. Nel carcere di Latina, alcune detenute non hanno chiesto i benefici di legge, perché per loro significava riconoscere lo Stato  italiano. Si considerano prigionieri politici, considerano le prigioni italiane come quella di via Tasso. Loro, però, non sono partigiani, non hanno condotto una guerra di liberazione, questa non è una dittatura. Sandro Pertini, il Partigiano, è stato avversario delle Brigate Rosse, anche perché si erano appropriate, indegnamente, dell’eredità della Guerra di Liberazione.

Come si può essere clementi con chi non mostra pentimento? Inoltre ci sono le vittime degli Anni di piombo. Non è possibile dire ai parenti delle vittime: « non hanno fatto un giorno di carcere e va bene così» . Tante persone sono morte per difendere uno Stato, che non può dimostrare di non essere capace di far rispettare le sentenze. Aggiungiamo poi che molti delitti degli anni di piombo sono rimasti impuniti perché è ignoto l’esecutore. Non si può cancellare così una pagina di storia, ancora da scrivere. Assicurare la dignità del condannato e sostituire la detenzione in carcere con altre misure è giusto. Archiviare tutto no.

Serve un dibattito parlamentare, si possono studiare forme di clemenza per le persone che mostrano pentimento e ammettono le proprie responsabilità, si può decidere l’automatica applicazione della detenzione ai domiciliari dopo una certa età, si potrebbe introdurre lo studio degli Anni di piombo nelle scuole come materia autonoma. Sbagliato è invocare un provvedimento come «l’amnistia Togliatti». Altri tempi e altra situazione. L’Italia era lacerata da una violenta guerra civile, un paese da riunificare. Gli Anni di piombo sono cosa diversa. Una minoranza è scesa in armi contro lo Stato. Possiamo  concedere che lo loro istanze fossero giuste ma il metodo scelto no. Erano e sono dalla parte sbagliata. Una diversa posizione sarebbe un insulto a persone come Peppino Impastato e Guido Rossa, che hanno combattuto le loro battaglie nella legalità. Sarebbe un insulto alla memoria di Aldo Moro. Per ottenere la sua liberazione, lo Stato ha rifiutato, almeno ufficialmente, di trattare con le Brigate Rosse.

Noi non ci possiamo permettere cattivi esempi e cattivi maestri. Non possiamo permetterci di mitizzare scelte scellerate. Soprattutto in questo momento storico, in cui si grida alla dittatura sanitaria, con atti violenti contro le strutture preposte alle vaccinazioni. Esistono gruppi, convinti che sia legittimo usare la violenza contro l’inesistente dittatura sanitaria. Esiste addirittura un movimento che nega l’esistenza del Covid19 e lo nega con toni violenti. Esistono poi legittime istanze sociali che potrebbero essere strumentalizzate per manifestazioni violente. Non può passare il messaggio, non può passare ora, del colpo di spugna su fatti gravissimi.  Non è ancora tempo di affidare gli Anni di piombo alla Storia. L’Italia è un paese che si divide spesso in fazioni, così è successo anche nell’analisi degli Anni di piombo. Abbiamo, invece, bisogno di unità  nel sostegno ai valori democratici. Non esiste democrazia senza giustizia. Non esiste giustizia senza umanità e rispetto della dignità del condannato, che non perde i propri diritti. Non esiste giustizia senza rispetto per le vittime degli Anni di piombo, tutte le vittime. Concetto espresso dal Presidente Pertini, nel visitare il militante del Msi, Paolo Di Nella, ferito a morte nel 1983. Quindi è tempo di grazia o di giustizia? Nel Paese culla del diritto, deve esserci spazio per entrambe.