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Morto di freddo ad un anno: l’inferno non era solo quello da cui fuggiva

La libertà non ha un valore assoluto. Si è liberi sempre a scapito di altri. L’Occidente lo sa bene, avendo da sempre fatto pagare il prezzo della sua civiltà a chi ha considerato “non civile” e per questo schiavo.

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Credit foto Pinterest

di Rosamaria Fumarola

Sul confine bielorusso un bambino siriano di appena un anno è morto di freddo. Assieme ai genitori era accampato nella foresta in attesa di entrare nell’Unione Europea attraverso la Polonia. Non è stato né sarà il solo a pagare il prezzo della guerra fredda tra Polonia e Bielorussia.  

Il mondo si è indignato per qualche giorno, autorevoli rappresentanti politici hanno rilasciato dichiarazioni di condanna contro chi ha permesso che migliaia di migranti si accampassero lungo il confine tra i due paesi. 

A guardarla da lontano la responsabilità di Lukashenko non ha bisogno di troppe prove per essere dimostrata. Volontari polacchi hanno cercato e cercano di prestare soccorso ai migranti, ma appare evidente che la risoluzione di un problema che coinvolge migliaia di persone non può essere lasciata alla buona volontà di pochi. È in ogni caso da operetta un Occidente che tutela la vita e la salute dei minori che sono al di qua dei propri confini,  assicurando loro un tetto ed il sostegno, non solo economico anche alle famiglie alle quali appartengono e che nega invece gli stessi diritti, sacrosanti per la civiltà di cui è espressione, a chi aldilà dei medesimi confini dista solo pochi metri. Certo la politica da sempre interviene sui grandi numeri e prescinde dai casi individuali. Se così non fosse stato  come si sarebbero potute combattere tutte le guerre di cui la storia è gravida? Un re, un capo di stato di fronte alla morte di un solo cittadino del proprio paese avrebbe dovuto interrompere le ostilità consegnandosi al nemico e perdendo sì, perdendo la guerra. Ma come sopra detto le ragioni del singolo non animano la politica e tanto meno la guerra e soprattutto sembrano essere lontane dalle ambizioni del potere. 

Eppure una vita è una vita.

Insomma l’Occidente, con la sua cultura, le sue leggi ed una civiltà da molti considerata un faro, riesce ad esprimere i suoi migliori valori solo rispetto ad un numero, non troppo allargato, di privilegiati, la cui vita considera sacra e da tutelare. Contro tutti i suoi principi chiude le porte al resto dell’umanità. Potrà obiettarsi che cerca di difendersi dal collasso che l’apertura a tutti procurerebbe al suo sistema e questo è vero, ma è anche vero che la politica è per l’uomo e non l’uomo per la politica. La misura di quest’ultima deve darla l’essere umano, che se invece da essa viene annullato diventa la prova di un collasso più ampio e profondo. È evidente che l’ Occidente dovrà, di fronte all’emergenza migranti degli ultimi anni, ricalibrare le sue leggi, i suoi interventi, dimostrando sul campo la superiorità di cui vanta di essere detentrice. In caso contrario non ci saremmo mossi dalla distinzione tra greci e barbari del V secolo a.C. o peggio, da quella tra liberi e schiavi di tutto il mondo antico. L’economia greca e soprattutto romana erano infatti di tipo schiavile e questo significava che la tutela della vita umana incontrava un limite e che era proprio questo limite a garantire che i liberi fossero liberi e che costruissero le basi dell’Occidente che ancora oggi riconosciamo come tale. La libertà infatti non è un principio assoluto: si è liberi sempre a scapito di qualcun’altro,  si ha sempre bisogno cioè di altri da considerare inferiori per poterli usare, per servirsene. Se  riconoscessimo loro i nostri stessi diritti la fetta della torta diventerebbe più piccola. 

Il colonialismo europeo in Asia ed Africa del 700 e dell’800 continuò ad applicare questo vecchio principio. La civilissima (?) America ancora oggi discrimina le minoranze nere ed il dibattito a questo proposito è tutt’altro che chiuso ed il razzismo tutt’altro che superato. Persino i rapporti che il nazismo intese avere con gli ebrei erano in ultima analisi fondati sulla  distinzione tra chi può sfruttare e chi è sfruttato, in ragione dell’esistenza di presunte superiorità.

La morte per freddo di un bambino di un anno lasciato sul confine bielorusso per un mese e mezzo, al quale  è stato negato di entrare in Europa, rivela il lato oscuro del nostro sistema, ma soprattutto la nostra ipocrisia. In secoli e secoli non abbiamo nemmeno imparato a trovare il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Incominciare da qui potrebbe essere un inizio, questo sì degno di una grande civiltà.

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano