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ELVIRA ORLANDINI, UNA MORTE SENZA TEMPO E SENZA GIUSTIZIA

Impressiona come il tempo possa cambiare i luoghi. Le voci, i rumori della quotidianità, lasciano il posto al silenzio.
Tutto si svuota. La natura ricopre ciò che l’uomo ha prima costruito e poi abbandonato.
La natura rigogliosa ha preso possesso anche dei luoghi teatro della tragica vicenda di Elvira Orlandini.

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Credit foto https://www.thesocialpost.it/2020/01/06/mistero-elvira-orlandini-bella-sposa-sgozzata-bosco/

Credit foto https://www.thesocialpost.it/2020/01/06/mistero-elvira-orlandini-bella-sposa-sgozzata-bosco/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Impressiona come il tempo possa cambiare i luoghi. Le voci, i rumori della quotidianità, lasciano il posto al silenzio.

Tutto si svuota. La natura ricopre ciò che l’uomo ha prima costruito e poi abbandonato.

La natura rigogliosa ha preso possesso anche dei luoghi teatro della tragica vicenda di Elvira Orlandini.

5 giugno 1947, Toiano, un piccolo borgo agricolo nella Toscana più profonda.

È il giorno del Corpus Domini. È anche l’ultimo giorno di vita di Elvira Orlandini

Elvira è giovane, carina e “senza grilli per la testa”. Espressione tipica del tempo ma anche retoricamente vuota.

Lavora i campi con la sua famiglia e presta servizio presso la facoltosa famiglia svizzera dei Salt che avevano una tenuta poco lontano.

A breve si sarebbe dovuta sposare con Ugo Ancillotti, uno dei tanti reduci di guerra.

Il pomeriggio del 2 giugno 1947, Elvira esce di casa per recarsi alla fonte, per prendere l’acqua. Poco più di 400 metri da casa.

Abitudini antiche di un’Italia scomparsa. Dove l’acqua corrente in casa era un lusso. Dove tutto era un lusso.

Elvira si avvia, da sola, verso la fonte. A casa non tornerà più. Non viva almeno.

Il corpo viene trovato a 30 metri dalla fonte, lungo il Botro della Lupa.

Qualcuno le ha squarciato la gola da un orecchio all’altro. Il sangue riempie i polmoni in pochi secondi, impossibile gridare in queste condizioni. Un particolare importante questo.

Viene anche colpita alla testa. L’assassino porta via l’asciugamano di Elvira e secondo alcune cronache anche le sue mutandine.

Un delitto che impressiona la comunità locale. L’Italia intera.

La ragazza piena di virtù e illibata vittima del mostro. Una storia così non poteva non riempire i giornali di un Paese che tre anni dopo avrebbe canonizzato Maria Goretti.

Le indagini sono difficili. La guerra era finita da due anni. Le investigazioni scientifiche non esistevano. Ci si affidava al fiuto degli investigatori.

Le indagini, dopo alcune incertezze, portano ad un nome. Quello più scontato. Il fidanzato e promesso sposo di Elvira.

Era arrivato tra i primi sul luogo del delitto e aveva tracce di sangue sui pantaloni. Aveva anche avuto dei litigi con la sua promessa.

Tanto basta per farlo diventare ospite delle italiche prigioni. Dove resterà per due anni.

Nel 1949 viene assolto, dopo un processo seguito da migliaia di persone.

Non ci sono prove. Vicino al corpo della ragazza vengono trovate impronte di scarpe non compatibili con quelle di Ugo Ancillotti. Le macchie di sangue sono minuscole. Invece dalla gola di Elvira era uscito molto sangue.

L’assassino di Elvira Orlandini non verrà mai trovato. Tante ipotesi. Tutte portavano al delitto passionale.

L’assassino ha agito con determinazione. Neutralizzando ogni possibile tentativo di chiedere aiuto.  Usando una tecnica tipica della macellazione degli animali. O appresa in guerra.

Perché raccontare una storia “vecchia”? Un omicidio che non può più trovare soluzione.

Perché le persone non sono edifici che possono sparire inghiottiti dal tempo e dalla natura.

La memoria deve sopravvivere alla cattiva sorte. Alla cattiva coscienza.

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