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La scienza che verrà parlerà di noi come primitivi e ciarlatani?

Da tempo gli studiosi diffidano di un’interpretazione teleologica della storia dell’uomo, di un presunto suo cammino verso un “meglio” che in parte senz’altro esiste ed in parte no. Ricordarlo di tanto in tanto non può farci male.

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di Rosamaria Fumarola

Dall’Illuminismo la fiducia nel sapere scientifico accompagna le nostre vite. I suoi lumi hanno cambiato profondamente la  cultura occidentale e permeato e mutato dalle fondamenta la civiltà a cui apparteniamo, tanto che a ragione,  si parla del movimento illuminista come di una rivoluzione, un fenomeno radicale al punto tale da aver segnato la storia con un prima ed un dopo. Il sapere scientifico tuttavia non è un sapere assoluto ma provvisorio e ciò è determinato dalla sua stessa natura. 

Grazie alla scienza riusciamo a sconfiggere terribili malattie, a comprendere i meccanismi che governano l’universo e per questo preferiamo affidarci ad essa, considerandola più forte e capace di illuminare il nostro cammino. Il nucleo di una conoscenza che resiste al tempo non è però quello scientifico e risiede forse altrove o almeno questo è  ciò di cui uno studioso dell’ antico può avere l’impressione. In particolare, nell’analisi di ciò che l’uomo in epoche anche molto lontane dalla nostra ha prodotto e posto alla base della propria cultura, ci si può imbattere in “opere” contenenti una sorta di sapere unico non sottoposto al vaglio dei criteri scientifici, ma ad una selezione non ancora del tutto chiarita, la cui componente essenziale oggi non stenteremmo a definire grossolana e che se volessimo estremizzare affiancheremmo allo strumento del “pettegolezzo” piuttosto che a quello di ciò che oggi consideriamo il nucleo produttivo della nostro sapere. 

Certo pensare che si possa “fare cultura” affidandosi all’oralità, al gusto esclusivo di chi ascolta, alla memoria di una sorta di cantastorie, ci fa trasalire e molti studiosi del passato non avranno stentato a definire il fenomeno come primitivo, immaginando una storia orientata verso un progresso certo che renda quanto lo ha preceduto ad esso prodromico ed incompiuto.  Una simile concezione teleologica  risulta attualmente definitivamente superata,  in ragione del suo uso della distinzione tra cultura alta e cultura bassa che si sviluppano in compartimenti stagni che, sappiamo bene, non rispondono assolutamente al vero. Heinrich   Schliemann, affidandosi esclusivamente alle indicazioni contenute nei poemi omerici riuscì ad individuare i luoghi nei quali le narrazioni epiche erano ambientate, orientandosi in una direzione opposta a quella di coloro i quali ritenevano quei contenuti frutto esclusivo di fantasia. Certo l’ambizioso commerciante commise degli errori, ma non dubitò mai della storicità di gran parte dei fatti  narrati e non a caso gli studiosi attuali hanno molte riserve nei confronti di quell’ uomo che considerano alla stregua di un dilettante, un avventuriero mosso da grande passione e senz’altro dall’ambizione, ma non dal rigore scientifico. Perché invece non pensare allo scopritore di Troia come ad un uomo dotato di mezzi e capacità non comuni nell’ interpretare quegli antichi racconti che, con un indiscutibile intuito considerò compiuti in ogni loro parte, tanto da servirsene per la ricerca di luoghi mai individuati prima? I poemi antichi e non solo greci, ma anche quelli ascrivibili alla tradizione sumera, nelle parti che ancora ci sfuggono possono essere definiti come lontani da ciò che consideriamo appartenere alla storia ed al sapere scientifico e dunque inaffidabili o siamo noi incapaci di coglierne il contenuto e pertanto, come spesso gli esseri umani fanno, bolliamo come di scarso valore tutto ciò che non riusciamo a capire? La mia impressione è infatti che il sapere umano abbia sempre saputo trovare il modo per “parlare” e raccontare tutto ciò che in una certa epoca riguardava e definiva l’uomo e le sue necessità e che questo accada anche oggi persino ai livelli che consideriamo più bassi della cultura. Le categorie delle quali ci serviamo e che pretendiamo essere scientifiche più di quelle passate sono armi sempre spuntate, incapaci di attribuire il giusto valore a tutto ciò che riguarda i bisogni, le proiezioni, le realizzazioni concrete dell’uomo nella storia. Per secoli ad esempio il Medioevo è stato considerato un’epoca oscura, di mezzo, priva dell’importanza e del peso storico e culturale ad esempio di ciò che fu l’impero romano. Oggi sappiamo che l’assenza di forme ed espressioni di potere quali quelle che lo precedettero, non fanno del Medioevo un’ epoca deteriore e di regresso ma solo una fase nuova e diversa, che conteneva già in sé i presupposti fondamentali di ciò che chiamiamo Rinascimento e che consideriamo invece un momento di eccezionale valore per la storia dell’uomo. C’è qualcosa di vero, di importante per l’essere umano, dovunque egli abbia potuto esprimersi. Negarlo serve solo alla conservazione di categorie utili in extrema ratio alla legittimazione di certi poteri. Quando Pier Paolo Pasolini era in vita la Chiesa a gran voce ne metteva in discussione l’autorevolezza e per voce di un alto prelato in un’occasione ebbe a domandare “Pasolini? Chi è Pasolini? Chi lo dice che si tratta di un Maestro?”. Mi pare superfluo aggiungere che con tutta evidenza la Chiesa in quegli anni  riteneva di essere la sola ad avere il diritto/potere di rilasciare patenti di autorevolezza intellettuale. Cosa non diversa ha fatto certa sinistra in epoca successiva, eppure Socrate qualche anno prima ci aveva messo in guardia dal sapere che si pretende di possedere.

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano