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Sanità

Salute contro profitto

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di LAVINIA ORLANDO

Ammesso che sia possibile attribuire un merito a quel Coronavirus che continua a mietere, quotidianamente e considerando solo l’Italia, centinaia di vittime, si può considerare il fatto di aver vigorosamente portato all’attenzione nazionale l’annosa querelle tra salute ed economia.


Nonostante tante vicende più o meno note, tra le quali la più tragica ed attuale è sicuramente quella riguardante l’Ilva, con l’enorme carico di malati e di morti a tale stabilimento attribuibile; nonostante l’impegno che tanti hanno profuso ed il tempo che continuano a spendere per tentare di sensibilizzare istituzioni e cittadini circa i pericoli e le conseguenze nefaste legate al protrarsi di determinate scelte inequivocabilmente dannose per la salute; nonostante le tante rassicurazioni che giungono, periodicamente, da chi, in virtù del dio profitto, provoca esternalità negative, tollerate, se non addirittura ammesse, da chi ci governa e le conseguenti polemiche che, sistematicamente, vengono a generarsi; nonostante tutto questo, non sarebbe un’eresia affermare che la stragrande maggioranza dei cittadini non aveva la benché minima idea di cosa potesse significare essere costretti a scegliere tra la salvaguardia della propria salute e la prosecuzione della rispettiva attività lavorativa (per quanto dannosa, in primis per la propria salute, tale prosecuzione potesse risultare).

In questo modo, l’infezione da Coronavirus ci ha gettato addosso una secchiata di acqua gelata e ci  ha costretti ad uscire da un limbo che pensavamo essere un rifugio sicuro, ma che altro non era che un effimero guscio, sicuramente confortevole ed ovattato, ma che prima o poi si sarebbe rotto.

Del resto, prendendo in considerazione i vari sondaggi consultabili in questo periodo e valutando la percentuale di gradimento del Presidente del Consiglio Conte, non sembrano esserci dubbi circa l’idea che cittadine e cittadini nutrono al riguardo: la salute viene prima di tutto, anche se questo significhi perdere notevoli guadagni, se non stringere la cinghia o, addirittura, non sapere come portare il pane in casa.

A fronte di un Conte che continua a ripetere di aver assunto tutte le decisioni dando priorità alla tutela della salute dei cittadini e scegliendo di limitare spostamenti ed attività lavorative secondo i principi di adeguatezza e proporzionalità e tenendo conto delle valutazioni degli scienziati, l’Italia sembra condividere le scelte del Premier, per quanto per la maggioranza della popolazione ciò equivalga ad autentiche lacrime e sangue.

Per quanto si possa condividere o meno la genesi e le decisioni passate dell’attuale esecutivo, non ci si può esimere da una considerazione basilare: senza la decisione, sofferta e dalla quale sarà molto difficile e lungo recuperare, di chiudere tutto il possibile – con alcune eccezioni problematiche che andrebbero riviste, come, ad esempio, il mondo della vendita on line e quello dei fattorini – i già troppi morti italiani sarebbero stati molti di più.

Non è questo il momento per discutere intorno all’ulteriore dubbio circa la possibilità, con decisioni ancora più accurate, di evitare tutte le vittime che ci sono state. È, invece, giunto il momento di iniziare a ragionare sul da farsi.

Tante sono le tematiche su cui ci si dovrebbe porre degli interrogativi. Al di là degli approcci al limite del delirante, quali quello di Matteo Renzi, che quando ancora si contavano, ogni giorno, quasi mille morti – ufficiali, per non parlare degli ufficiosi – auspicava “la riapertura delle fabbriche prima di Pasqua” – rimasto, fortunatamente, inascoltato dall’esecutivo – occorre comprendere, con calma, competenza, serietà e senza inutili ricerche di titoloni, che risulterebbero quanto mai ridicole di questi tempi, quando e come sarà possibile ritornare a lavorare, sempre assicurando il minor rischio possibile di contagio, ed in quale modo risollevare le sorti della nostra sanità pubblica, che, nonostante l’eccezionale lavoro svolto da medici, infermieri ed operatori tutti, ha mostrato segni di cedimento, non fosse altro che per la necessità di ricorrere alle donazioni dei cittadini per approvvigionare ospedali e strutture (in seguito ai notevoli tagli operati soprattutto negli ultimi anni).

Entrambi gli interrogativi riportano alla contrapposizione iniziale – salute vs profitto – per la risoluzione della quale non si potrà prescindere dalle settimane di autentico incubo che stiamo vivendo, che dovranno fungere da monito, anche e soprattutto quando ritorneremo alla libertà, affinché il profitto e l’economia non sovrastino più i diritti fondamentali alla vita ed alla salute.