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Calcio

SUPERLEGA: L’IPOCRISIA DELLA UEFA

Perché creare un torneo del genere quando esiste già la Champions League?

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DI FABRIZIO RESTA

Credit foto forzaq8 licenza CC BY 2.0

Una competizione privata a numero chiuso alternativa alla Champions League che riunisce le 20 migliori squadre europee (15 di diritto e 5 determinate di stagione in stagione in un modo non ancora definito) in una sorta di campionato, al di fuori dell’ambito Fifa, Uefa e delle leghe nazionali. Questa è la famosa Superlega che ha riempito le pagine di tutti i giornali di questo periodo.

Perché creare un torneo del genere quando esiste già la Champions League? La risposta è evidente se guardiamo quello che sta succedendo nel campionato italiano: due delle squadre coinvolte (Juventus e Milan, n.d.r) rischiano di restare fuori dalla Champions, a vantaggio del Napoli e dell’Atalanta che, oltre a sembrare molto più in forma, hanno un calendario molto più agevole. Non qualificarsi non è solo una sconfitta sportiva ma lo è soprattutto a livello economico, per via dei mancati introiti. Considerando i bilanci in rosso di entrambe le squadre, l’esclusione dall’Europa dei big, potrebbe essere un colpo da cui sarebbe difficile riprendersi, condannando l’escluso a campioni che fuggono (Ronaldo, Donnaruma e Calhanoglu sono solo gli esempi più rilevanti) ed un mercato al risparmio.

La Superlega serviva proprio ad evitare questo: l’accesso garantito ad un torneo stellare e ai ricavi conseguenti. Certo, qualcuno può obiettare che in fondo la Champions di oggi risponde alla stessa logica ed avrebbe ragione. Basti pensare al campionato spagnolo dove in 89 campionati ben 60 sono stati vinti dal duo Barcellona-Real Madrid, per capire che dare 4 posti in Champions alle squadre spagnole, significa garantire vita natural durante alle 2 squadre l’accesso ai ricavi della Champions. Situazione invece ben diversa da Italia ed Inghilterra dove il campionato è combattuto da 4-5 squadre con qualche outsider sempre in agguato. Tuttavia per Real e Barcellona (ma anche per gli altri) non è solo una questione di partecipazione: l’Uefa ha una doppia veste di regolatore, che fa le norme, e di organizzatore degli eventi, nonché gestore dei proventi. Nella F1, ad esempio, il ruolo di organizzatore e di international board è separato.  Parlando in soldoni, il Bayern Monaco, l’ultima squadra ad aver vinto la Champions, ha ottenuto dalla vittoria circa 120 milioni di euro quando ne spende 200 solo di stipendi. Nella Superlega ad ogni partecipante viene riconosciuto un premio di partecipazione di 350 milioni. Com’è possibile questa differenza? Perché nella Superlega i diritti TV e gli incassi sono distribuiti interamente tra le squadre; non c’è l’Uefa che ci mangia (e tanto).

Facile intuire che la reorica della meritocrazia dietro la quale si è trincerata la Uefa sia solo di facciata. Il problema non è garantire la partecipazione anche delle squadre più piccole ma semplicemente i mancati introiti della sua esclusione ma anche e soprattutto dagli inferiori profitti derivanti dalla minor “appetibilità” di una Champions trasformata in una “Coppa Italia” europea. Se davvero l’Uefa avesse a cuore la meritocrazia nel calcio, non avrebbe garantito la presenza di squadre spagnole, italiane, inglesi e tedesche non vincitrici del proprio campionato, per poi emarginare le squadre campioni del proprio paese in Europa League, in quanto “figli di un Dio minore”. Per non parlare del fair play finanziario, dove squadre come il Manchester City e Paris Saint Germaine hanno acquistato a colpi di miliardi i migliori giocatori europei, ricevendo multe ridicole, mentre il Milan, che non ha santi in paradiso, ha ricevuto la squalifica dalle coppe europee per i conti in disordine (ma che sicuramente non era della stessa portata delle squadre sopra citate).

A proposito di bei principi, l’Uefa è la stessa organizzazione cha ha scelto di organizzare i mondiali in Quatar, dove i diritti umani non sono garantiti e dove 6.500 operai hanno perso la vita (fonti Guardian) durante i lavori per l’organizzazione del torneo.

Concludiamo con un altro aspetto non meno rilevante: i diritti tv. Ricordiamo le parole dell’Uefa: “il calcio è di tutti”. Con Dazn che si è assicurata i diritti tv  del campionato di Serie A per il triennio 2021-2024, gli italiani dovranno fare 3 abbonamenti per vedere serie A e Champions League (Dazn per la serie A, Sky per la Champions ed Europa League, Amazon Prime per l’incontro clou della Champions più Supercoppa europea). Fiumi di denaro in entrata per l’Uefa e fiumi di denaro in uscita per gli appassionati, ma solo per chi se lo potrà permettere. In un Paese dilaniato dalla crisi economica dovuta alla pandemia, sembra proprio un segnale poco edificatorio. Ma il calcio non era di tutti?

Spiace solo per i veri tifosi che si sono ribellati per delle giuste motivazioni, credendo di essere tutelati dagli organi deputati. Chi sono i cattivi in questa storia? Tutti. Sia lo snobismo delle big europee che credevano di poter scegliere le squadre partecipanti, sia dell’Uefa, sdilinquita di falsi proclami a cui ha attinto a piene mani. Il calcio è morto, è vero, ma non per colpa della Superlega. È solo una delle tante figlie della crisi del calcio, ucciso dal potente dio denaro, di cui l’Uefa da anni riveste il ruolo di profeta indiscusso.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo