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Schiaffo o non schiaffo bisogna intervenire

Il caso della giocatrice schiaffeggiata dal mister. L’importanza del ruolo dello psicologo dello sport

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DI FABRIZIO RESTA

Credit foto: Cristiano Cani license CC BY 2.0.

Il 22 maggio a Rieti, durante la finale per il terzo e quarto posto di basket femminile di serie B. Alla fine del secondo quarto, le giocatrici delle rispettive squadre si dirigono verso le panchine. È in questo momento che nel video finito online, si vede l’allenatore del Basket Roma, Luciano Bongiorno avvicinarsi a Benedetta, una sua giocatrice di 17 anni. Nelle immagini l’allenatore sembra tirare con veemenza uno schiaffo all’atleta. Differenza Donna Aps e Assist Associazione Nazionale Atlete hanno chiesto “l’immediato intervento del Presidente della Federazione Pallacanestro, Giovanni Petrucci, e del presidente del Coni Giovanni Malagò, perché l’allenatore del Basket Roma, Luciano Bongiorno, venga immediatamente radiato e non abbia più modo di esercitare la professione di allenatore”.

Quello di un allenatore è un ruolo chiave, che non è soltanto quello di allenare l’atleta ma anche di essere un modello da imitare, non tanto dal punto di vista tecnico ma soprattutto comportamentale. E’ un educatore, un formatore. Saper mantenere un equilibrio permette di creare un ambiente sano, motivato e al tempo stesso, di garantire una buona percentuale di divertimento.Senza timore di esagerare, possiamo dire che l’allenatore viene un po’ a sostituire, nell’ambito della discilina sportiva, le figure del padre e della madre dell’atleta: del padre in quanto figura sicura ed autoritaria, della madre in quanto è suo il compito di supportare e proteggere l’atleta.

Questo dovrebbe essere il ruolo dell’allenatore. Nella pratica, tuttavia, si tende a considerare solo l’aspetto tecnico, tralasciandone l’aspetto umano. L’atleta quindi visto dagli allenatori (non tutti per fortuna) come una specie di robot, valutabile solo in base ai risultati sportivi ottenuti, assumendo un atteggiamento esclusivamente autoritario nei loro confronti. Un buon allenatore, secondo il lavoro di Gramaccioni (1994), dovrebbe essere tecnicamente preparato ed aggiornato ma dovrebbe anche aver acquisito una certa sicurezza personale che gli permetta di improntare il suo allenamento prima sulle esigenze umane e poi sull’obiettivo della vittoria.Un buon allenatore deve trasmettere sicurezza, serenità ma soprattutto non rimproverare ma al contrario, incoraggiare e motivare gli atleti.

Un buon allenatore deve essere in grado di gestire lo stress causato da situazioni a volte difficili da gestire, di mantenere la calma, per poter affrontare i problemi e trovare le soluzioni con lucidità. Sicuramente il lavoro dell’allenatore si svolge in un ambiente molto stressante: il dover produrre dei risultati,le interferenze dei dirigenti, i rapporti con i tifosi e i mass-media. Proprio per questo, per essere un bravo allenatore, non basta essere bravi dal punto di vista tecnico, ma serve anche una formazione psicologica adeguata, altrimenti si rischia di finir catturati dal cosìddetto burn-out, ossia quella sintomatologia psico-fisiologica concettualizzata da Raedeke & Smith, consistente nell’esaurimento fisico ed emotivo dovuta all’eccessiva pressione ricevuta che provoca, tra i tanti effetti, anche un certo grado di ostilità. Se per un atleta i suoi effetti sono abbastanza evidenti, come ad esempio prestazioni sportive di qualità peggiore rispetto al solito, limitata resistenza e senso di generale stanchezza, nell’allenatore gli indizi del burn-out ci sono ma sono meno evident:: essere perfezionista e non tollerare i possibili errori propri e degli sportivi, mancanza di capacità assertive, essere insoddisfatti, avere delle aspettative troppo elevate o farsi assorbire troppo dall’attività agonistica. In questo ambito la figura dello psicologo dello sport può essere preziosa: strategie di intervento teoricamente mirate possono fornire opportunità per la prevenzione e il trattamento dei sintomi di burnout.

In poche parole, oggigiorno la componente psicologica è fondamentale nello sport e gli allenatori non hanno la formazione giusta per poter lavorare. Per questo motivo, il ruolo dello psicologo dello sport è diventato sempre più importante, una vera e propria marcia in più che permette a un atleta di avere la meglio sull’avversario. Tuttavia, mentre nel Nord America e nel resto dell’Europa questo servizio è una realtà ben consolidata, seppur con differenze rimarcate tra un sistema e l’altro, in Italia invece questo servizio non è molto presente e dove c’è appare in un ruolo secondario. Negli USA stiamo assistendo oggi a una crescente richiesta di interventi psicologici, non solo relativi al mental training ma finalizzati anche a aiutare gli sportivi a superare problemi relazionali e clinici, come depressione o problemi alimentari. Il caso più noto è sicuramente quello del nuotatore Michael Phelps. L’atleta più medagliato della storia delle olimpiadi (23 ori) ha ammesso di soffrire di crisi depressive e di esser riuscito ad aprirsi e chiedere aiuto solo da pochi anni. Ma non solo: la presenza di uno psicologo avrebbe potuto prevenire l’increscioso caso di abusi sessuali dell’osteopata Larry Nassar, nei confronti delle atlete Usa di ginnastica artistica.

Quello che abbiamo detto finora non deve in nessun modo interpretato come difesa di Luciano Bongiorno, che si è macchiato di un gesto di violenza inaccettabile e come tale deve essere punito. La violenza non è mai scusabile, neanche sull’altare dello stress. Queste situazioni esistono e non sono isolate. Ce ne sono tante che non sono state filmate e sminuite dagli stessi atleti; cosa che ha fatto anche la giocatrice in parola…..ma sinceramente è poco importante se sia stato uno schiaffo o una pacca come dice Benedetta. Non crediamo nelle pacche miracolose. Diciamo solo che la presenza di psicologi dello sport può aiutare a far sì che questi episodi non capitino più. Punire senza trovare una qualche forma di prevenzione, significa sottovalutare il problema e diventare complici. Dello stesso parere appare Assist, Associazione Nazionale Atlete, che ha dichirato sul suo profilo Facebook: “Quando abbiamo presentato il progetto Fair Coaching per formare gli allenatori ad un comportamento giusto e corretto (non solo dal punto di vista metodologico, ma anche relazionale); quando abbiamo presentato il progetto SAVE per le vittime di violenza nello sport, qualcuno rideva, diceva che non ce n’era bisogno…. Ecco se questo, che vedete nel video, può accadere oggi e, ancor peggio, lo si giustifica, lo si copre, lo si fa scivolare nel silenzio forse chi ride delle nostre iniziative, piuttosto, farebbe meglio a seguirle, capirle, promuoverle!

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Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo