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Non è la Boxe che uccide

Parliamo del caso di Simiso Buthelezi, il pugile sudafricano che sferrava pugni dove non c’era l’avversario, successivamente morto per emorragia cerebrale

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DI FABRIZIO RESTA

Negli ultimi giorni si parla molto del caso di Simiso Buthelezi, il pugile sudafricano morto qualche giorno dopo l’incontro valido per la World Boxing Federation All Africa Lightweight a Durban.

Durante il match contro il connazionale Siphesihle Mntungwa, Buthelezi ha cominciato a colpire il vuoto, come se ci fosse un avversario che solo lui potesse vedere oppure come se stesse facendo shadowboxing. L’arbitro ha interrotto il match ed il pugile è stato immediatamente ricoverato in ospedale e indotto in coma farmacologico. Dopo 24 ore è morto per emorragia cerebrale.

Una morte drammatica e inaspettata, soprattutto considerando che per tutto l’incontro il pugile in parola sembrava in palla (dichiarazione dell’allenatore). Persino pochi secondi prima del fattaccio, Simiso aveva atterrato l’avversario. Poi quella scazzottata al vuoto. Non ci è dato sapere se anche quando stava effettivamente colpendo l’avversario lui non fosse già in “crisi”.L’allenatore del pugile, Mngomezulu giura che fosse in buone condizioni prima del combattimento. Le indagini chiariranno ogni cosa.

L’emorragia cerebrale purtroppo è una delle cause principali delle morti sul ring. Le emorragie cerebrali sono sostanzialmente perdite di sangue dove non dovrebbero essere, uccidendo le cellule cerebrali e spesso lasciando la persona parzialmente paralizzata o deceduta. Questo accade perchè dopo aver ricevuto un colpo forte, il cervello sbatte sul cranio. Non necessariamente l’emorragia cerebrale è dovuta al k.o. anzi, spesso sono dovuti ai colpi normali, quelli detti sub-concussivi: provocano leggeri danni al cervello, ma non sono abbastanza forti da costringere il pugile a smettere di combattere. Il corpo umano però ha una risposta per prevenire il più possibile i casi di commozione cerebrale: il liquor cerebrospinale che protegge il sistema nervoso da urti contro il cranio, fungendo da cuscinetto. Negli sport da combattimento, tuttavia, c’è la famigerata pratica del weight-cutting. Come sanno tutti, negli sport da combattimento, gli atleti sono suddivisi in categorie in base al peso. Succede, tuttavia, che spesso i fighters cerchino di scendere di categoria, perdendo la massa corporea per recuperarla dopo il giorno del peso. Perchè lo fanno? Perchè il pugno di una persona di 80 kg sarà sempre più potente di quello di uno di 68 kg. Perdendo kg prima della pesata e recuperando prima del match, il combattente ha un effettivo vantaggio nei confronti dell’avversario. Questo obiettivo lo si può raggiungere con una dieta ipocalorica, con una disidratazione acuta ottenuta tramite esercizio, sauna e altre pratiche mediche che definirei estreme e abusive (farmacologiche). Molti atleti per ottenere questi risultati in poco tempo, in assenza (ahimè) di nutrizionisti o in presenza di professionisti non coscienziosi, usano pratiche mediche abusive per favorire una rapida disidratazione. Peccato che con un’eccessiva e rapida disidratazione, si riduce anche l’effetto cuscinetto, perché la disidratazione riduce la massa cerebrale e sotto i colpi ricevuti, la massa cerebrale colpisce il cranio con maggiore accelerazione. La scienza ci dice che le perdite attorno al 3% non sono pericolose ma molti atleti perdono molto di più.

Quello che dispiace è che ogni volta che succede qualcosa, parta la crociata contro gli sport da combattimento. Il mondo del pugilato sa benissimo che purtroppo queste tragedie possono accadere, è la cruda realtà, facendo il pugilato professionistico si può morire.Nè il tanto invocato uso del caschetto può cambiare le cose. Il casco, è vero, riduce del 40-45% l’accelerazione di un colpo ma solo per quanto riguarda i colpi laterali. contro i montanti non c’è nulla da fare. Riduce le ferite al volto ma un taglio al sopracciglio non provoca danni cerebrali.

Tuttavia, non è che si muore senza una ragione. Dietro ogni pugile c’è un’attenta e scrupolosa attività di prevenzione. Bisogna essere considerati idonei per combattere e per ottenere l’idoneità bisogna fare tutta una serie di esami ferrei. Poi, è chiaro, influisce anche l’incoscienza di alcuni (una minor parte). Ad esempio nel caso di Santillan (morto nel 2019 in seguito a danni cerebrali), il ragazzo aveva il fermo medico comminato dalla federazione tedesca, fermo medico che non è stato rispettato e Santillan è stato fatto salire sul ring. Francisco Leal era già finito in ospedale per ko tecnico, e gli avevano consigliato di appendere i guantoni al chiodo. Ma poi aveva voluto tornare a combattere ed è morto, anche lui per emorragia cerebrale. Senza voler sminuire il match o la federazione sudafricana, stiamo comunque parlando di un incontro per un titolo vacante a cui potevano partecipare coloro che avevano uno score di 5 vittorie. Quindi non atleti con tanta esperienza alle spalle e comunque non certo una Federazione di prestigio in questo sport. Se pensiamo che persino negli Usa ed Inghilterra ci sono dei pugili che muoiono (per fortuna una percentuale irrisoria) nonostante i rigidi controlli, le norme di sicurezza ecc, permetteteci di dubitare sull’altrettante rigidità ed efficacia dei controlli sudafricani.

In definitiva, non abbiamo informazioni circa un drastico calo del peso da parte di Buthelezi, nè abbiamo preso visione della sua condizione fisica quindi non possiamo (e non vogliamo) sputare sentenze. L’emorragia intracranica, può avvenire anche in atleti perfettamente idratati e in perfetta salute. Purtroppo non abbiamo potuto valutare i colpi subiti durante il match perché i video che girano in rete riguardano solo il momento topico, non prima. Per quello che sappiamo potrebbe anche essere stato causato da un problema congenito latente, non precedentemente manifestatosi. Alle indagini l’ardua sentenza. Una cosa è certa: non è la Boxe ad uccidere.

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Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo