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Andrea Lanfri:”Ogni salita è diversa ed unica allo stesso modo”

Intervistiamo l’alpinista pluri amputato che recentemente ha scalato l’Aconcagua (6962 metri)

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DI FABRIZIO RESTA

Credit foto: Ilaria Cariello

Andrea Lanfri è un atleta incredibile. Nonostante la meningite 8 anni gli abbia privato di entrambe le gambe e di 7 dita delle mani, ha inanellato un’impresa dietro l’altra: Con le sue protesi ha scalato l’Everest, il Monte Kenya, il Kilimanjaro e un mese fa l’Aconcagua. Prima ancora saliva le montagne alternando il percorso tra la bicicletta e a piedi: Etna, Gran Sasso, Monte Rosa da Genova e per finire il Monte Serra. Abbiamo incontrato questo straordinario atleta.

Andrea hai scalato l’Aconcagua, la vetta più elevata del Sud America con i suoi 6962 metri e con -26 gradi. Raccontaci che emozioni hai provato

La soddisfazione in vetta, è stata forte, proprio dal fatto di avere ottenuto quell’obbiettivo con solo le mie forze, gestendo tutto secondo le mie idee ed esperienze anche ascoltando molto le sensazioni che il mio corpo rilasciava. Questa montagna non è difficilissima a livello tecnico, ma a livello fisico e per le sue caratteristiche è meglio non sottovalutare la salita.

L’hai fatto per la prima volta completamente solo. Ci sono state difficoltà? soprattutto hai avuto dei momenti di paura?

Questa non era la prima volta che facevo qualcosa in solitaria, ma indubbiamente la prima volta su una montagna di quasi 7000 metri. Al mio arrivo le condizioni meteo non erano favorevoli, e durante la prima fase di acclimatazione per colpa della neve fresca la fatica è stata notevole. Fortunatamente non ci sono stati momenti di paura né di difficoltà. Ho effettuato un ottima acclimatazione salendo e scendendo più volte, dividendo il materiale e il cibo necessario per i giorni in tenda mentre aspettavo le condizioni giorni per il tentativo di vetta.

A quelle altezze la mancanza di ossigeno si fa sentire. Come l’hai affrontata?

L’unica cosa da fare, è un ottima acclimatazione, dare il giusto tempo al corpo di abituarsi a questa carenza di pressione. Salendo e scendendo più volte ai vari campi. Noi alpinisti si dice sempre: “camminare in alto, e dormire in basso”

A parte la carenza di ossigeno, per te è stato più difficile affrontare la neve o il forte vento?

Alla fine la neve, anche se non immaginavo di trovarne cosi tanta, non è del tutto negativa, almeno avevo acqua da bere senza problemi.. Mentre il fattore vento, questa montagna è molto ventosa, è più difficile da gestire, non c’è stato un giorno senza vento, e un forte vento fa percepire temperature ben più basse e questo è un fattore da tenere in considerazione, da non sottovalutare.

Avevi già raggiunto la cima il 16 gennaio, perché sei tornato il 22?

Il 16 non era preventivato il mio tentativo di vetta, ero a campo 3 a 6000 metri circa, e da programma originale sarei dovuto tornare al CB (campo base, ndr) ma il meteo non era pessimo e io stavo molto bene fisicamente, e ho deciso di salire e tentare al vetta il vento era sopportabile e gestibile fino alla cresta finale, a pochi metri dalla vetta, li era veramente forte, stavo in piedi a fatica, ho avuto un principio di congelamento ai due pollici, e ho deciso di tornare al campo base per tornare su quando il meteo sarebbe stato migliore, e questo è stato il 22 gennaio!

Come ti prepari per un’impresa del genere?

A me piace da sempre far sport. E avere sempre un nuovo obbiettivo mi spinge ad allenarmi costantemente. Bici, corsa e montagna. Questi sono i miei allenamenti preferiti.

7- 8 anni fa di questi tempi eri in coma. Ci racconti cosa ti è successo?

Una malore improvviso, una febbre altissima e tanto freddo. Questo è quello che ricordo del 21 gennaio 2015, è successo tutto molto velocemente. Mi sveglio un mese e mezzo dopo in ospedale: sepsi meningococcica fulminate. E da li indubbiamente tutto è cambiato.

Dopo esserti ripreso hai cominciato con l’atletica, vincendo anche un argento mondiale a Londra

In quel momento, la montagna era quasi impossibile, mentre ho visto nell’atletica un nuovo inizio di vita. E cosi ho iniziato ad allenarmi, e poi senza neanche rendermi conto mi sono ritrovato a correre in posti e gare che mai avrei pensato, come ad esempio i mondiali di Londra nel 2017.

Cosa ti ha portato a cambiare sport?

La mia passione, nata fina da piccolo era la montagna, ed ora nonostante tutto è tornata prepotente in me. L’atletica è stata inaspettata ed importantissima, è stata la mia “riabilitazione”. La mia voglia di libertà e avventura forse è stato proprio questo che ha contribuito al mio ritorno in montagna.

Nel tuo palmarès per ora ci sono l’Everest (8.848 m) per l’Asia, il Kilimanjaro (5.895 m) per l’Africa, e ora anche l’Aconcagua per il Sud America (oltre al Monte Bianco salito ad agosto dell’anno scorso). Quale di queste imprese ti ha lasciato quel “qualcosa in più”?

Difficile da dire. Ogni salita è diversa ed unica allo stesso modo. Sono montate e circostanze totalmente diverse che non ho una classifica. E’ proprio questo il bello di questo progetto, oltre al sapore alpinisti è presente un sapore esplorativo molto importante, visto che ogni montagna trovandosi in diversi continenti offre emozioni, panorami ed esperienze diverse.

Quale impresa hai in progetto ora?

In questo 2023, continuerò il progetto delle “seven summit”*, e ci saranno anche qualche edizione del progetto “from0to0”**.

* con questo termine sono indicate le montagne più alte di ciascun continente della Terra. Quindi si tratta dell’obiettivo di scalarle tutte (Africa: Kilimangiaro, America settentrionale: Denali, America meridionale: Aconcagua, Antartide: Monte Vinson, Asia: Everest, Europa: Monte Bianco e Elbrus, Oceania: Puncak Java e Monte Kosciuszko).

**partenza dal livello del mare in bicicletta, cambio di assetto e scalata fino alla vetta nel minor tempo possibile e ritorno a quota zero. 

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Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo