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Calcio

Riduzione degli stipendi dei calciatori

nico catalano

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di NICO CATALANO

Ognuno faccia come vuole


In un Italia messa in ginocchio da un viscido e letale virus che da qualche settimana sta provocando centinaia di morti al giorno. Un Paese dove quotidianamente medici, infermieri e operatori del comparto sicurezza stanno lavorando senza soste, spesso rischiando la propria vita per la salvaguardia dei cittadini. Dove da circa un mese la stragrande maggioranza degli italiani sta sacrificando lavoro, reddito e affetti, sino a privarsi delle proprie libertà individuali al fine di mettere in atto quel distanziamento sociale necessario per azzerare o almeno diminuire il fattore rischio di contagio del patogeno causa di questa pandemia. In questo catastrofico quadro temporale tagliare le remunerazioni dei milionari calciatori dovrebbe essere un’azione responsabile, da mettere in atto senza tante discussioni e polemiche. Tutto ciò è ancora di più motivato dalla sospensione a tempo indeterminato di tutti i campionati continentali in seguito all’emergenza Coronavirus. Questa eventualità di riduzione dei compensi dell’Italia “pallonara” non ha registrato parere unanime sia da parte della FIGC (federazione italiana giuoco calcio) così come da parte di quasi tutti i presidenti dei club di serie A e B che preoccupati delle sempre più probabili perdite economiche derivate dai minori incassi e mancati contratti televisivi e delle sponsorizzazioni a causa dello stop dovuto al Covid19, hanno come attuale unico obiettivo quello di pressare il governo guidato dal Prof. Conte per ottenere una approvazione di una imminente ripresa delle gare. Inoltre la proposta di riduzione è stata accolta con una certa timidezza anche dal sindacato dei calciatori, certo i calciatori non sono tutti come Cristiano Ronaldo, centinaia di essi nelle serie minori guadagnano cifre enormemente inferiori e sono retribuiti con stipendi normali. Lavoratori che certamente hanno il diritto di essere tutelati come tutti gli altri. Ma da questo al produrre uno sconcertante nulla di fatto dopo interminabili riunioni è inaccettabile da chi pur sempre rappresenta delle categorie di privilegiati. Così sabato scorso mentre le istituzioni del pallone erano intente nell’ennesima inutile riunione per trovare un accordo riguardo la riduzione dei compensi, una società, precisamente la Juventus annunciava di avere trovato un’intesa con i suoi atleti che prevede la rinuncia di 45 giorni di stipendio, con i restanti due mesi e mezzo che verranno “recuperati” nella prossima stagione sportiva. Nel caso improbabile in cui la stagione dovesse riprendere, le integrazioni sarebbero liquidate dopo il primo luglio senza avere un impatto sul bilancio al 30 giugno 2020. Un accordo che sancisce la sconfitta delle istituzioni del calcio nazionale e nel contempo risulta favorevole solo per la società torinese, ma non per le altre. Difatti sarebbe stato diverso costruire da parte della Figc un accordo-quadro magari tramite un taglio lineare del trenta per cento dei compensi o attraverso delle riduzioni a scaglioni in base agli stipendi, intesa che avrebbe aiutato sia le società grandi che soprattutto le piccole e nel contempo dato quel segnale di moralità sperato dagli italiani. Senza fare del populismo becero o del gratuito qualunquismo, si sarebbe reso umano qualcosa che da diversi decenni ha perso il contatto con la realtà, facendo ritornare alla dimensione originaria una disciplina sportiva ormai rimasta tale solo sulla carta. Oggi tutto è virtuale nel calcio miliardario, grazie principalmente ad una legge che nel 1996 permise la conversione delle vecchie società sportive in società per azioni, un provvedimento proposto da quel Walter Veltroni, all’epoca Ministro dello sport e votata in larga maggioranza da quella classe politica approssimativa e superficiale che ha letteralmente “fatto a pezzi” il nostro Paese negli ultimi tre decenni. Una trasformazione questa che avrebbe fatto inorridire anche un appassionato di football come Eduardo Galeano, lo scrittore che meglio di tanti altri ha saputo narrare nei suoi racconti il giuoco del calcio, quello sport domenicale che Pier Paolo Pasolini considerava “l’ultimo rito sacro dell’età contemporanea”. Alla genuina passione è stata preferita la fredda razionalità manageriale, profitti, costi e plusvalenze valgono più di una bandiera e i ricavi in borsa delle società per azioni sono più importanti dei risultati sportivi conquistati sul campo verde.  Le conseguenze di tutto ciò sono il valore monetario del sistema calcio arrivato alla cifra di circa tre miliardi di ricavi netti all’anno con un indotto di otto miliardi, una contribuzione fiscale di un miliardo, circa oltre l’uno per cento del prodotto lordo nazionale. Pertanto per la moralità e l’etica nel calcio moderno non c’è spazio anche in tempi di Coronavirus.

Fonte della Foto : calciomercato.com

Agronomo, ricercatore ecologista, divulgatore e saggista