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In “Mezzogiorno di fuoco”, l’inconciliabilità tra coscienza e opportunismo

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di MARIO GIANFRATE

 

“Mezzogiorno di fuoco” del regista Fred Zinnemann, è un western diverso:

 

 

mancano gli elementi caratteristici di questo genere cinematografico – indiani, inseguimenti con sparatorie e via dicendo – ma tutto è incentrato sul protagonista del film, lo sceriffo Willy Kane, interpretato da un superlativo Gary Cooper.

Siamo nella cittadina di Hadleyville dove si è in procinto di celebrare il matrimonio tra lo stesso sceriffo e Amy – Grace Kelly -, una ragazza quacchera. A interrompere il rito è la drammatica notizia che con il treno di mezzogiorno giungerà nella città Frank Miller, un bandito arrestato e fatto condannare proprio da Kane e che è stato graziato. Alla stazione lo attendono tre brutti ceffi, suoi amici.

Lo sceriffo ha due alternative: o abbandonare la città o difenderla con l’aiuto dei suoi abitanti. Incitato da tutti e dalla giovane sposa, ad andare via, Kane, obbedendo a dei principi etici decide di restare. Ma quando chiede collaborazione per affrontare i fuorilegge, tutti si tirano indietro lasciandolo solo e abbandonandolo a un probabile infausto destino.

La storia è scandita in tempo reale: la pellicola dura un’ora e mezzo durante le quali si seguono in un lento, cupo scorrere dei minuti, i pensieri, il dramma interiore, la paura forse dello sceriffo a cui Gary Cooper dà una straordinaria credibilità che coinvolge e sconvolge lo spettatore.

Egli è solo in questa prova che non presenta ampi spazi di uscita; uno scontro impari – uno contro quattro – che non lascia molte vie di scampo al coraggioso sceriffo, ligio a un dovere morale che gli riviene dal ruolo occupato. Ma non di solo questo si tratta. C’è una scelta di fondo, nella decisione dello sceriffo, che pone seri problemi alle coscienze: di fronte alle ingiustizie, alle difficoltà, al pericolo la coscienza non può retrocedere o rifugiarsi nel limbo della codardia. E lo sceriffo Kane non ha alcun indugio rispetto alla scelta che gli si pone, senza nessun compromesso.

Nella sparatoria tra sceriffo e banditi gli viene un aiuto “provvidenziale”, inatteso, decisivo: quello di Amy che, contravvenendo ai propri convincimenti religiosi, impugna una pistola e ammazza uno dei fuorilegge. In quest’atto si intravede non solo l’amore della donna per l’uomo che ama ma, anche, un gesto di solidarietà umana verso un uomo che rischia la sua vita per difendere quella di chi lo ha lasciato solo.

Quando tutto è finito e Kane ne è uscito vincitore, tutti gli si fanno incontro per congratularsi con lui, tesserne le lodi, come sciacalli. Kane, amareggiato, deluso dall’atteggiamento degli abitanti, disgustato dal loro opportunismo, si toglie la stella di latta dal petto e la getta a terra, nella polvere. E, con la moglie si allontana, dalla città, senza girarsi indietro.

L’atto di gettar via la stella di sceriffo- ma anche l’alone di viltà che avvolge i concittadini di Kane,  sarà criticata dalla commissione di censura americana presieduta dal senatore Mac-Carthy, l’ineffabile fautore della “caccia alle streghe” che si sviluppa negli Stati Uniti in quegli anni nei confronti di presunti e inesistenti nemici interni della Nazione.

Definito uno tra i più grandi western di tutti i tempi e un film “psicologico”, Mezzogiorno di fuoco sarà premiato l’anno dopo la sua proiezione con quattro Oscar.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo