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“O Gorizia tu sei maledetta”, la protesta contro la guerra nei canti dei soldati

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di MARIO GIANFRATE

La canzone del Piave fu scritta da E.A. Mario a fine conflitto, per celebrare la “vittoria” contro l’esercito austro-ungarico,

 

 

con i toni della retorica e della esaltazione di un eroismo che avrebbe caratterizzato le imprese belliche dei soldati italiani. Che, con oltre seicento cinquantamila morti, pagavano un prezzo altissimo in quella che, come aveva  profetizzato papa Benedetto XV, si era tradotta in una “inutile strage”. Sui monti e nelle trincee si cantava più sommessamente e quasi di nascosto, versi di protesta contro la guerra e di spregio nei confronti del comandante supremo dell’esercito, Luigi Cadorna, considerato ne più, ne meno, che un guerrafondaio senza scrupoli. Senza scrupoli di mandare all’assalto – e a farsi infilzare dai proiettili delle mitragliatrici avversarie – centinaia e centinaia di giovani.

Fioriranno tra i fanti, strofette ironiche nei suoi riguardi ma, anche, di disprezzo: “Il general Cadorna / ha scritto alla regina: / se vuol veder Trieste / la veda in cartolina!”, “Il general Cadorna / è diventato pazzo / chiama il ’99 / che l’è ancor ragazzo”, con riferimento all’invio al fronte di ragazzi poco più che adolescenti. E ancora: “Il General Cadorna / ha perso l’intelletto / chiama il ’99 / che fa ancor pipì nel letto”

Rabbia e disperazione esplode tra i soldati per l’inumano e ingente dispendio di vite umane per la conquista di Gorizia, un obiettivo militare ritenuto strategico da Cadorna: “O Gorizia tu sei maledetta / per ogni cuore che sente coscienza / dolorosa ci fu la partenza / che per molti ritorno non fu… Traditori signori ufficiali / che la guerra l’avete voluta / scannatori di carne venduta / e rovina della gioventù”. Analoga: “Monte Nero dove tu sei, / o traditor della mia vita? / Ho lasciato la mamma mia / per venirti a conquistar. / Per venirti a conquistare / abbiam perduto molti compagni, / e sull’età dei vent’anni, / la loro vita non torna più”.

Durissimo l’affondo nei confronti di chi ha voluto la guerra, inneggiando alla vittoria ma imboscato nelle furerie delle caserme ben lontane dal fronte, in “Addio padre e madre addio”: “Lascio la moglie con due bambini, / o cara mamma pensaci tu, / quando sarò in mezzo a quegli assassini / mi uccideranno e non mi vedrai più.” (…) “Sian maledetti quei giovani studenti / che hanno studiato e la guerra voluto / hanno gettato l’Italia nel lutto, / per cento anni dolor sentirà.”

Canti, infine, di rassegnazione per la ineluttabilità di affrontare la morte in battaglia, nelle strazianti e dolorose note di Ta-pum, a indicare il doppio rumore del colpo di fucile che, in alta montagna, dopo lo sparo riecheggia nella valle ribadito dall’eco: “Nella valle c’è un cimitero / Cimitero di noi soldà… / Ta-pum, ta-pum, ta-pum / Cimitero di noi soldati / forse un giorno ti vengo a trovà / Ta-pum….”.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo