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La passione di Cristo tra fede, tradizione e folklore.

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di LAURA FANO

In Italia la Pasqua è un momento religioso vissuto con intenso trasporto, nel quale la devozione dei fedeli si manifesta spesso in ritualità di grande suggestione, con cerimonie di forte impatto emotivo dove si mescolano, fino a fondersi, culto e folklore.

 

Da Nord a Sud e la festa più importante della cristianità, la cui origine spesso si perde nella notte dei tempi, è declinata in centinaia di rappresentazioni, tutte unite da un solo messaggio: trasmettere il dolore della Passione di Cristo, preludio alla Resurrezione e alla Pace.

Nell’arco della Penisola, assistere a queste manifestazioni non è affatto difficile: con gelosa attenzione, ogni luogo e ogni confraternita conserva e tramanda i propri rituali che tra sacro e profano si manifestano in messe in scena, riti penitenziali e suggestive processioni. Ogni evento mira a coinvolgere emotivamente i fedeli secondo ritmi scanditi e ancestrali rituali, e più è capace di suscitare forti emozioni più trova seguito tra la gente, che tornerà l’anno seguente o lo racconterà perché quella pesante Croce trascinata sul Monte Calvario tra sangue, lacrime e sudore, in fondo, altro non è che la rilettura del cammino silenzioso di ognuno di noi sulla terra.

In Sicilia, ogni anno, a San Fratello, in provincia di Messina si celebra la “Festa dei Giudei”; un rito che vede protagonisti una miriade di contadini e pastori travestiti con uno sgargiante costume tradizionale, in giubba e calzoni rossi a strisce di stoffa gialla, ricamate con motivi floreali e perle. Hanno il volto coperto con un cappuccio rosso, con una croce ricamata sulla punta, per ricordare il carattere menzognero del diavolo, e girano travestiti in questo modo per il paese, dove suonano trombe per festeggiare la morte di Gesù Cristo e disturbare la processione religiosa che, al contrario, la commemora. Il contrasto ha il suo punto cruciale il Venerdì Santo, quando il corteo che segue il Crocifisso è disturbato e interrotto nel suo cammino dall’arrivo festoso dei Giudei. Sempre in Sicilia si svolgono i riti dei Misteri del Venerdì Santo a Trapani e la Via Crucis ad Enna, dove sfilano circa 2000 confratelli incappucciati.

Leonardo Sciascia, nella “Corda pazza”, a proposito delle feste religiose scriveva che in Sicilia erano “tutto”, un’esplosione esistenziale collettiva il cui confine “non poteva essere segnato in alcun modo dal perimetro religioso”.

La colomba più celebre d’Italia è sicuramente quella di Firenze, dove si svolge “lo scoppio del carro”: la colomba-fantoccio compie un volo benaugurale di 150 metri dall’Altare Maggiore di Santa Maria del Fioreinnesca che termina con lo scoppio del carro Brindellone. Tra battistero, Campanile di Giotto e Cupola del Brunelleschi si celebra la mattina di Pasqua un evento pirotecnico che rievoca la distribuzione del fuoco sacro.


A Romagnano Sesia, in Piemonte, invece il Giovedì e il Venerdì Santo degli anni dispari si mette in scena la Passione, con veri e propri quadri viventi che camminano per il paese: un grande spettacolo all’aperto, al quale gli spettatori partecipano attivamente. Per le strade di Vercelli si snoda la Processione delle macchine, nata nel 1833: otto pesanti gruppi scultorei rappresentano i momenti salienti della passione di Cristo, dalla Flagellazione alla Crocefissione, con un realismo di straordinaria e inquietante potenza espressiva.

A Vertova, in provincia di Bergamo, viceversa, nella processione del Venerdì Santo sfilano Giudei e soldati romani, mentre un fedele rappresenta Cristo, con saio rosso e scalzo.

Particolarmente sentita la rappresentazione della via Crucis anche in Puglia: a Taranto si susseguono tre processioni, tutte lente e suggestive: quella dei Perdùne, come erano detti i pellegrini che andavano a Roma per il Giubileo, con la testa coperta da un lungo cappuccio bianco sormontato da un cappello nero che sfilano a piedi nudi dal pomeriggio del Giovedì fino a notte fonda; quella dell’Addolorata, aperta dal Troccolante, e quella dei Misteri, con gruppi statuari e il simulacro del Cristo morto, fino all’alba del Sabato Santo. In totale, più di 40 ore di processione quasi continua. Processioni secolari, sacre rappresentazioni, accompagnate da bande e marce funebri suonate ossessivamente, e tradizioni tramandate di padre in figlio sfilano, in un panorama vastissimo, anche per le altre citta da Bitonto a Canosa di Puglia, Francavilla Fontana e Noicattaro. Famosa è la processione delle fracchie di San Marco in Lamis, del Sabato Santo a Mottola, come le processioni ad Andria, a Gallipoli e nell’antico borgo di Troia.

Antiche sono anche le origini delle processioni sorrentine che sembrano affondare le loro radici nel 1200, quando un corteo di confratelli attraversava le strade cittadine con una semplice croce, recitando e cantando salmi di penitenza e visitando i Sepolcri che restavano aperti al pubblico tutta la notte. Nate come riti di penitenza e di espiazione, con il tempo si sono arricchite dal punto di vista coreografico, soprattutto sotto l’influsso della dominazione spagnola, quando si cominciò a pensare di introdurre i cappucci e di arricchire la processione con luci e con i famosi simboli della Passione del Cristo.

Minori e Amalfi, invece, restano in silenzio e al buio nelle notti che precedono la Pasqua: nelle strade e lungo le marine solo il toccante bagliore delle fiaccole e i canti lugubri, nenie risalenti al ‘300, dei Battenti che piangono insieme all’addolorata la morte di Cristo.

La processione dei Misteri del Venerdì Santo a Procida è un itinerario scandito da tromba e tamburo. Duemila figuranti sflilano con i Misteri che ogni anno si rinnovano. Sono opere d’arte isolana e povera. Rappresentano con personaggi a grandezza naturale gli episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, istituiti nel ‘600 dopo il divieto ecclesiastico ai fedeli di infliggersi flagellazioni e mortificazioni corporali durante i riti della Settimana Santa.

E se le marce funebri e il lento e pesante incedere sono le caratteristiche principali delle processioni pasquali che si susseguono un po’ ovunque lungo  la penisola,  a Sulmona, in Abruzzo, la Pasqua si festeggia con il rito della “Madonna che scappa in piazza”. L’ Addolorata è chiusa nel suo dolore nella Chiesa di san Filippo. Le statue di San Giovanni e San Pietro, i due apostoli che, secondo il Vangelo, si accorsero per primi della Resurrezione di Cristo, vengono condotte verso la Chiesa dove bussano al portone per annunciare la Risurrezione alla Vergine che, incredula, esce vestita ancora di nero. Nel momento in cui la Madonna vede suo Figlio, comincia a corrergli incontro e lungo il tragitto perde la veste del lutto, tra colombe in volo e spari di mortaretti: un invenzione spettacolare per esortare i credenti a guardare sempre oltre le lacrime e il dolore.

È indubbio che nel nostro paese le feste di matrice religiosa rappresentino buona parte del patrimonio tradizionale. Un’espressione di fede, certo, ma anche eventi dal forte significato sociale e vincolo di appartenenza alla comunità, specialmente nel Meridione, complice anche l’influenza spagnola che ha dominato per secoli queste terre.

E non è un caso che i riti religiosi e i santi hanno sempre fatto parte anche dei voluminosi bagagli degli emigrati e hanno contribuito a conservarne all’estero la loro identità. La religione fu parte fondamentale degli inizi della vita nel nuovo mondo da parte dei nostri esuli, e tale è rimasta anche per coloro che sono arrivati in seguito.

Attraverso la partecipazione ad essi, gli italiani costretti ad abbandonare la loro terra in cerca di fortuna in un Paese straniero, si raccordavano ai ritmi e alla vita della comunità d’origine, sentivano i santi come dei compagni che li avevano seguiti nell’esilio e la cui “presenza” li confortava e li aiutava. Ecco allora che processioni e cortei diventarono parate e attorno alla venerazione si teneva viva l’identità di un popolo che voleva integrarsi nel nuovo Paese, ma che non era disposto a rinunciare alla propria identità.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo