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Un gatto tra le righe

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di LAURA FANO

Da Esopo a Hemingway cosi’ la letteratura ci ha raccontato di loro

 


 

Bello, elegante, espressivo, sinuoso, indipendente, dolce, ribelle, enigmatico, giocherellone, opportunista, egoista, edonista e fusaiolo. Tanto amato, quanto odiato e perseguitato. Il gatto, quel piccolo felino che ispira tenerezza – ma dai cui artigli affilati è bene stare in guardia – è da sempre presente nella vita degli uomini.

Furono i cinesi, attorno al 5300 a.C. ad addomesticare il gatto selvatico, quella morbidissima palla di pelo che oggi entra ed esce silenziosamente dalle nostre case. Poi venne Bastet, la Dea Gatto. Dopo fu la volta di Mau, il gatto domestico sacro alla Dea egizia. Iniziò così la lunga amicizia tra uomini e gatti. Da secoli conviviamo con questa piccola “tigre” subendone il fascino, l’eleganza e la magia..

Indipendenti e individualisti, queste piccole belve appartengono a una razza che l’uomo però non è riuscito ad addomesticare completamente come il cane; piuttosto sono loro a concedere a noi umani il beneficio della loro presenza.

Da secoli popolano il mondo della letteratura, come protagonisti di racconti, romanzi e poesie o come amici e compagni di artisti, letterati e illustri poeti. Molti scrittori hanno incrociato le loro penne con le sinuose code e le imperscrutabili pupille in un abbraccio affettuoso, e sono debitori ai gatti di ispirazioni letterarie. Aldous Leonard Huxley, ai suoi allievi che gli avevano chiesto il segreto per avere successo in letteratura, rispose: “Se volete scrivere, tenete vicino un gatto”.

I primi a interessarsi del micio e del suo elegante garbo furono nella letteratura europea il greco Esopo, che trattò il carattere del gatto arricchendolo di allegorie riferibili al genere umano e ai suoi difetti, e Fedro. Seguirono Cicerone e Plinio il Vecchio. Secondo Erodoto, i gatti sono l’immagine vivente dei Lari e dei Penati: somigliano agli dei, amano le carezze e non le restituiscono mai.

Persino Francesco Petrarca, ritiratosi in vecchiaia nella quiete dei colli Euganei, trovò sollievo solo nella compagnia della sua gatta Dulcina, che fu addirittura imbalsamata e posta in teca. Il suo l’epitaffio in latino così recita: Il poeta toscano arse di un duplice amore: io ero la sua fiamma maggiore, Laura la seconda. Perché ridi? Se lei la grazia della divina bellezza, me di tanto amante rese degna la fedeltà; se lei alle sacre carte diede i ritmi e l’ispirazione, io le difesi dai topi scellerati. Quand’ero in vita tenevo lontani i topi dalla sacra soglia, perché non distruggessero gli scritti del mio padrone. E ora pur da morta li faccio tremare ancora di paura: nel mio petto esanime è sempre viva la fedeltà di un tempo”.

Dante teneva spesso sulle gambe un micio nero. Torquato Tasso, caduto in disgrazia alla corte di Ferrara e ridotto in miseria, senza soldi quasi cieco e quasi pazzo e fu rinchiuso per sette anni nell’ospedale di Ferrara. Il maggior conforto nella prigionia gli fu offerto dai gatti, di cui l’edificio era affollatissimo. Il poeta li ripagò con una coppia di sonetti di così alta e delicata poesia che tutti gli appassionati di gatti dovrebbero leggerli.

Lope de Vega, drammaturgo spagnolo, scrisse addirittura una “Gattomachia” (La battaglia dei Gatti) in versi, rifacimento della Batracomiomachia – deliziosa parodia dell’Iliade e dell’Odissea- dove scrive di gatti per evidenziare e criticare le passioni e i difetti tipici dell’uomo. Essi amoreggiano, danzano, si contendono l’amore delle belle, danno feste, fanno duelli; infine combattono una guerra in piena regola con un assedio, l’incendio della città vinta e la morte di gran parte dei contendenti.

Anche nelle favole di La Fontaine il gatto rappresenta personaggi ipocriti, falsi, ladri e fanfaroni. A far riconquistare al gatto simpatia col suo abito da galantuomo e il suo fare elegante sarà Charles Perrault, scrittore francese di fine seicento, autore della favola “Il gatto con gli stivali” che ha allietato tante generazioni di bambini, dove l’autore ci descrive le doti peculiari e innegabili del gatto: l’astuzia, la lucidità mentale, la velocità di azione, lo sfruttamento adeguato di ogni situazione per portare a buon fine il suo obiettivo, che oltretutto è nobile.

I gatti hanno animato con tanta forza come pochi altri impulsi simbolici quel mondo dei sogni che è la letteratura. Anche come personaggio secondario il gatto riesce a essere importante come in Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. lo Stregatto tigrato, paffuto e sghignazzante diviene, infatti, uno dei personaggi più amati e popolari di questa incredibile favola.

Ma, attenti! Non si tratta solo d’immaginazione: i gatti sono reali, figure ben presenti in carne, ossa e pelo negli studi dei letterati con la loro esistenza sugli scrittoi di molti autori famosi. Jean-Paul Sartre riceveva gli ospiti e i giornalisti sempre attorniato dai suoi gatti, in particolare uno bianco chiamato Nada. Montaigne annota nei Saggi: “Quando gioco con la mia gatta, chi può dire se si diverte più lei a scherzare con me o io a giocare con lei?”. Per Dumas “il gatto è veramente aristocratico nelle fattezze e nelle origini”.

Si dice che il cane è sia il miglior amico dell’uomo. Ma bisogna fare una precisazione: se quell’uomo (inteso in senso di umanità) scrive, allora probabilmente il suo miglior amico sarà un gatto. Stando alle statistiche, infatti, c’è una stretta relazione tra l’amore per la lettura e quella per i gatti. Gli amanti dei gatti sono anche grandi amanti dei libri.

Ernest Hemingway, ritratto più volte in dolce compagnia felina, ha sempre vissuto con colonie di gatti, il più famoso dei quali era Snowball, il felino a sei dita.  Nella finca di Cuba, non poteva rinunziare alla presenza delle sua muse feline, così nella torre che aveva fatto costruire al piano superiore c’era lo studio e in quello inferiore le cucce per i numerosi gatti: ben trenta perché, “un gatto semplicemente conduce al successivo”.

E Flaiano diceva agli amici: “ Il mio gatto fa quello che io vorrei fare, ma con meno letteratura”.

La letteratura, dunque, non si è sottratta al fascino ipnotico dei suoi occhi: ”Chi non ha mai guardato in quegli occhi, scrive Anna Maria Ortese, “non ha mai visto nulla di divino – per significare benevolenza, pace – per quanti possano essere gli altari a cui si sarà inginocchiato”.

Come diceva Robertson Davies “gli scrittori amano i gatti perché sono persone tranquille, amabili e sagge, e i gatti amano gli scrittori per lo stesso motivo”. I gatti sono lievi, tant’è che Jules Verne sosteneva che fossero spiriti venuti sulla terra e potessero camminare su una nuvola; adorano lo scrittore, dormono nel suo studio e nel suo letto, si aggirano con passo felpato sui suoi strumenti di lavoro, un tempo il foglio e la macchina da scrivere oggi il computer, fanno le fusa, mordicchiano penne e matite, si acciambellano sulle sue gambe e ne scandiscono con il loro ronfare rassicurante la creatività. Lo scrittore è a sua volta un gattofilo perché trae beneficio dalla presenza del gatto, che non è mai indiscreta o invadente.

Molti scrittori francesi sono letteralmente stati sedotti da coda e baffi: Dumas, Balzac, Theophile Gautier e Guy de Maupassant. Celine immortalò il suo gatto Bebert, che accompagnò lo scrittore e la moglie nella fuga dalla Francia, nelle pagine di Trilogia del Nord. Impazzivano per i gatti  anche sir Walter Scott, Miguel de Cervantes, Alexander Dumas e Colette. Dumas figlio a Montecristo possedeva addirittura un piccolo zoo. Lo scrittore russo Anton Cechov scrisse del disastroso tentativo dello zio di addestrare il suo gattino. Nel racconto “La gatta” di Colette si narra la storia di Saha una gatta di razza Blu di Russia che conquista il cuore del suo padrone dopo che la moglie, gelosa, cerca di sopprimerla.

Anche gli anglosassoni hanno accolto il gatto tanto nelle loro case, quanto nei loro scritti con piacere. Shakespeare menziona i gatti con simpatia nelle sue opere lo stesso Dickens era anche un tenero “gattofilo”, che aveva battezzato il suo gatto William, proprio in onore di Shakespeare.

Lo scrittore che peggio trattò questo felino fu il naturalista francese Georges Louis Leclerc conosciuto col nome di Buffon, descrivendolo come un “domestico infedele, che manteniamo solo per necessità, per opporlo ad un altro nemico domestico ancora più scomodo, che non si può scacciare.”

Molti scrittori hanno letteralmente adorato il proprio gatto e hanno dedicato all’orgoglioso felino anche interi libri: la scrittrice Giorge Sand, al par mio, condivideva la tazza di latte della colazione con Minou. Raymond Chandler definiva il suo Taki il suo segretario felino, e persino Pablo Neruda al gatto ha dedicato un’ode. L’eccentrico D’Annunzio scriveva: “Amo i gatti come amo tutti gli animali. Ne ho sempre avuti in casa. Non ricordo d’essere mai stato senza almeno un gatto”. Lo stesso gatto di Victor Hugo, Canonico, dormiva su una cuccia più simile a un trono che ad una poltrona, mentre lo scrittore e drammaturgo Karel Capek aveva appena perso il suo gatto per avvelenamento quando si presentò alla sua porta una micia che, secondo lui, gli era stata inviata come compensazione.

Predatore solitario e animale sociale nel rapporto con gli uomini, animaletto indifeso e simulacro di belva feroce “il nostro micio -diceva Giorgio Celli – può essere considerato un animale filosofico, nel senso che fa pensare – oltre a scaldare. Cogito ergo (gatto) sum”. E così pensava Elsa Morante quando scrisse una poesia per la sua gattina. Poi, quando morì lasciò i suoi amati gatti alla sua amica Natalia Ginzburg.

Il gatto, con la sua insostenibile tenerezza, la sua aria riflessiva e il suo incedere felpato nelle nostre vite ben rappresenta la capacità di chi scrive di scavare negli animi umani e tirarne fuori storie. Parola di strega.

Tanti scrittori hanno fatto le fusa ai gatti. ‘Il gatto nero’ fa parte dei numerosissimi racconti gotici di Edgar Allan Poe, Kipling definì il felino “il più selvatico di tutti gli animali selvatici”. E Mark Twain ci dice che “Se si potesse incrociare un uomo con un gatto, l’essere umano ne risulterebbe migliorato, ma il gatto peggiorato”.

E poi, non posso non citare Bosch e Tommy: i due gattini di Anne Frank e della sua famiglia: pur continuando ad azzuffarsi di continuo tra di loro, fecero compagnia a Anne anche ad Amsterdam durante la caccia nazista agli ebrei. I nomi dei gatti avevano un significato preciso: Bosch era il termine dispregiativo, con cui si indicavano i tedeschi, mentre Tommy era il soldato inglese.


Amico di Collodi, di Umbero Eco e di Pascoli che gli ha dedicato un sonetto, il gatto nei secoli ha sedotto personalità molto lontane, diverse per età, per professione e cultura grazie alla sua personalità enigmatica e al suo spirito un po’ selvatico e un po’ domestico. D’altro canto chi può sottrarsi al fascino ipnotico di quelle feline pupille verticali, lame sottili, così diverse dalla morbida rotondità della pupilla umana?

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo