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Il piacere della lentezza

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di LAURA FANO

Viviamo in un mondo vorticoso e frenetico.

 

 

Le ventiquattro ore della giornata sembrano non bastare per i mille impegni quotidiani. Sveglia presto al mattino, i figli da accompagnare a scuola, gli appuntamenti di lavoro; e mai come oggi crescono l’ansia di non sprecare il tempo a nostra disposizione e la smania da prestazione. Il cellulare squilla di continuo, occorre rispondere con urgenza alle e-mail ed è indispensabile rimanere costantemente connessi, iperattivi, scattanti. Sempre reperibili, ventiquattr’ ore su ventiquattro, non ci è concessa una pausa.

Da anni siamo costretti a vivere all’insegna di un dinamismo sempre più frenetico, complice anche la tecnologia più avanzata che sforna di continuo strumenti a rapida obsolescenza; non abbiamo ancora finito di apprendere il funzionamento di questo o quel marchingegno digitale che già sul mercato ne è comparso uno più evoluto, più veloce, più efficiente che ci impone di aggiornarci, riqualificarci e sveltirci sia in ambito lavorativo, che domestico.

Viviamo nell’era digitale, e ancor più di noi i nostri figli affetti da una sorta di bulimia tecnologica, in cui tutto scorre velocemente per istantanee. E’ l’era del fast food, del fast fashion, dell’ high-speed in cui il tempo è scandito dalla rapidità e dalla frammentarietà della vicinanza, virtuale e del linguaggio informatico che spesso ci intrappola in una corsa che non riusciremo mai a vincere.

Da segno dell’emancipazione dalla miseria secolare, la velocità emblema del manifesto dei Futuristi e simbolo di una vita iper-tecnologizzata si rivela una gabbia di ferro: agiamo freneticamente con delle macchine che promettono di renderci felici, ritrovandoci invece con l’ emulare quelle stesse macchine ad ingranaggi spaesati di una macchina più vasta, quella del mondo globale.

Insomma, nel nuovo millennio si va di fretta, chi dorme non piglia pesci. Pronti a vendere l’anima a Mefistofele come dei moderni Faust di Goethe, sempre più veloci in auto o davanti a un tablet, connessi e multitasking, in questa velocità che ci inebria e s’impone su di noi, pretendiamo tutto e subito a portata di un click.

Finché lo stress è fonte di vitalità, va tutto bene, ma quando la maratona quotidiana procura affanno e frustrazione, è ora di cominciare a mettere in discussione il proprio rapporto con il tempo e la stessa velocità.

La tecnologia dovrebbe liberarci da impegni e farci guadagnare tempo, in realtà, ci rende schiavi ed erode i confini fra lo spazio pubblico e quello privato, fra il lavoro e la vita domestica.

Eppure il nostro cervello (macchina perfetta) ci è stato donato proprio come una macchina lenta, che ha bisogno dei suoi tempi e di una sequenza nella sua azione. Noi invece facciamo il contrario, e viviamo nell’incubo della lentezza che associamo allo spreco di tempo.

In uno scenario di efficienza e dinamismo dato dalle tecnologie, alle quali deleghiamo sempre più le azioni del nostro quotidiano, quello della lentezza infatti sembra essere un vezzo che non ci si può più concedere.

Non dimentichiamo, però, che siamo noi, in ogni momento, a decidere quale velocità imprimere alla nostra esistenza. Velocità e lentezza devono tornare a re-integrarsi. Dovremmo imparare a ridurre un po’ la velocità, per riscoprire il piacere e la funzione della lentezza, ricordandoci del paradosso di Zenone dove in una stessa pista la tartaruga, immagine di pensiero e meditazione, non potrà mai essere raggiunta da Achille emblema di forza e desiderio.

Un vecchio proverbio popolare recita “ Respira, prima di parlare”, e nell’attimo del respiro c’è il riconoscimento del valore della lentezza.

Quando rallentiamo, concediamo a noi stessi la meravigliosa opportunità di vivere il presente nel pieno della nostra consapevolezza, colmandola di significato e cogliendone gli aspetti più vivi e profondi perché la vita è in grado di espandersi verso una bellezza infinita, se solamente le diamo la possibilità di farlo.

Impariamo, ogni tanto a staccare la spina, a disconnetterci dai dispositivi, a fare una passeggiata, a fermarci a guardare il mare e a respirarne il profumo, ma soprattutto insegnamo ai nostri figli, super impegnati (per colpa nostra) e iper stimolati (per colpa della società) a concedersi delle pause. Riordiamoci, soprattutto, che sta a noi garantire ai bambini il diritto alla lentezza, alla scoperta della natura, alla selvatichezza, alla ferita, al vuoto e anche e soprattutto alla noia che Leopardi definiva “ in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani”.



 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo