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Antonia Bernardini, uccisa dalla folle istituzione del manicomio

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di PIERDOMENICO CORTE RUGGIERO

Pazzia, follia, sono parole di cui abbiamo paura. Come abbiamo paura di tutto ciò che è diverso dalla comune idea di normalità. Il pazzo, il folle, non è semplicemente quello che crede di essere Napoleone o che dice cose senza senso, consideriamo pazzo anche colui che non si adatta alla società. Per secoli non sono stati considerati pazzi solamente i soggetti con patologie psichiatriche, ma anche tutti quelli che non hanno voluto o potuto uniformarsi alle regole sociali imposte. Per i “pazzi”, c’era solo il manicomio. Non un luogo di cura. Un luogo di detenzione. I “pazzi”, andavano gettati in quella discarica sociale, che erano i manicomi. Ciascuno doveva stare al proprio posto. Lo scolaro bravo al primo banco, l’asino dietro la lavagna, il povero nella sua miseria, il figlio del contadino rimanere contadino. Tutto in ordine, tutti catalogati. Senza possibilità di redenzione o miglioramento. I manicomi, per tantissimi anni, hanno ospitato epilettici, disabili, persone con depressione o con la sindrome di down, ciechi, sordomuti, persone che contestavano “l’ordine costituito”. Quindi non dei “pazzi”, ma persone viste come una vergogna, un peso, un pericolo, da gettare in manicomio. In manicomio, però, difficilmente finivano i ricchi, perché un ricco non è mai pazzo, al massimo eccentrico. Sarà proprio il manicomio, a risolvere dei problemi familiari di Benito Mussolini. In manicomio muore il figlio del duce, Benito Albino e sua madre Ida Irene Dalser. I “pazzi”, in manicomio trovavano sbarre alle finestre, un letto a cui venivano legati, una camicia di forza, botte, elettroshock, cibo pessimo, condizioni igieniche terribili. Il manicomio era una prigione, in cui finire senza processo. Bastava la diagnosi di un medico. Senza appello. Molte persone hanno passato quasi l’intera vita in manicomio, alcuni sono nati in manicomio. L’istituzione manicomio, è passata dalla monarchia, al fascismo e alla Repubblica, senza essere mai messa in discussione. Solo nel 1961, qualcosa inizia a cambiare. Da Gorizia, grazie a Franco Basaglia. Basaglia è uno psichiatra dalle idee innovative e umane. Nel 1961, assume la direzione del manicomio di Gorizia. Rimane turbato da ciò che vede, un carcere e non un luogo di cura. Basaglia inizia da Gorizia la sua rivoluzione. I “matti” diventano pazienti da curare con umanità. Elimina l’elettroshock, la contenzione fisica. Vengono realizzate iniziative per favorire il benessere dei pazienti. Basaglia continua la sua rivoluzione nei manicomi di Parma e Trieste. Negli anni 70, Basaglia porta avanti una battaglia per la chiusura dei manicomi. Per Basaglia i malati di disturbi mentali non vanno rinchiusi, ma tenuti nel tessuto sociale e curati da servizi esterni presenti nel territorio. Mentre Basaglia continua la sua battaglia, nel 1974, succede qualcosa che sconvolge l’Italia. La tragica vicenda di Antonia Bernardini. Antonia era una donna come tante. O meglio, oggi sarebbe una donna come tante. Negli anni 70, la sua fragilità viene etichettata come disturbo mentale. Una etichetta, che le costerà la vita. Antonia non ha avuto una vita facile, ma ha provato a non mollare. Fino ad un giorno del 1973. Antonia si trova presso la stazione Termini, ha una discussione con una donna. Interviene un giovane, che spintona Antonia. Lei reagisce e lo schiaffeggia. Il giovane è un carabiniere. Antonia viene arrestata e portata in carcere. Poi, visti i suoi precedenti psichiatrici, viene portata presso il manicomio di Pozzuoli. In attesa del processo. Non ci sarà nessun processo. La condanna per Antonia arriva prima, condanna a morte. Rimarrà molti mesi chiusa nel manicomio di Pozzuoli, in condizioni tremende. Il peggio, però, deve ancora arrivare. Antonia si trova da 41 giorni legata ad un letto. Nessuno ha pietà di lei. Trattata senza dignità, viene lasciata per 984 ore, legata ad un letto. “Legata come Cristo in croce”, dirà Antonia al magistrato. Antonia ha sete, ma nessuno risponde, quando lei chiama. Decide, quindi, di dare fuoco al materasso per attirare l’attenzione. Ci riuscirà, ma solo dopo la sua morte, avvenuta dopo giorni di agonia, dovuti alle gravi ustioni. Antonia muore nel dicembre 1974. La sua vicenda sarà ulteriore spinta verso la chiusura dei manicomi, nel 1978. A noi resta il dovere di chiederci quale diritto abbiamo, di condannare la fragilità altrui, con il marchio infamante di “pazzia” e di riflettere su quanto si illusoria la nostra idea di “normalità”.

Foto tratta dal libro “ …ma l’amor mio non muore “ edizioni DeriveApprodi

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo