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Tutti uguali, tutti omologati

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di LAURA FANO

Sono a Bari ma, se guardo come va in giro vestita la gente, potrei essere a Milano, Parigi, Mosca, Londra. Se ti sposti da un paese all’altro ti rendi conto che ovunque lo stile, specie quello dei giovani, è identico. Omologato.

Vai in giro per la città, cammini per le vie più affollate e, sia che tu guardi le vetrine dei negozi o entri in un cinema o in qualsiasi altro posto, abbassando lo sguardo vedi solo un esercito di migliaia di scarpe da ginnastica, che sia inverno o estate. Appena sollevi un po’ lo sguardo vedi leggings, minigonne o jeans aderenti. Indossano tutti le stesse magliette e persino le stesse mutande. Ti azzardi ad alzare la testa e ti accorgi che l’esercito dei seguaci della moda indossa una vera uniforme, taglio di capelli, unghie finte e cellulare alla mano compreso.


Dico giovani, ma forse sbaglio: in realtà è una moda trasversale che colpisce nel bene e nel male tutte le fasce d’età, spesso, come nelle epidemie, con conseguenze drammatiche.

Ogni generazione è passata attraverso questi momenti. Diversi gli elementi, gli oggetti scelti, le mode, le tendenze; ma è sempre successo.

Quarant’anni fa l’abbigliamento era una sorta di dichiarazione politica e un taglio di capelli una presa di posizione: chi indossava l’eskimo e jeans era di sinistra, chi portava la giacca di pelle e gli occhiali da sole di destra. Le femministe di tutto il pianeta, poi, amavano gli abiti etnici, e per distinguersi dalle signore borghesi portavano grandi gonne fiorate e zoccoli.

Eppure, in un certo senso eravamo arruolati anche noi.

Negli anni ’90, quelli della mia generazione per intenderci, Gaber cantava l’abbigliamento di destra e di sinistra. In questi nostri tempi mimetici anche per lui sarebbe difficile trovare la differenza, specie tra i giovani dei quali è difficile, da come vestono, capire anche il loro orientamento politico, ammesso che ne abbiano uno proprio.

Strano tempo, il nostro. La nostra è la prima società del consenso di massa e dell’omologazione di massa: ognuno pensa come si pensa, vive come si vive, desidera come si desidera e, non in ultimo, dissente come si dissente. Spesso si finisce per copiare personaggi famosi, come cantanti e attori che si pubblicizzano sul web o sulle riviste.

La ricerca del nostro io è ,ormai, impossibile in una società dove l’unica parola importante è il “noi”. “Uguale” è giusto, “Diverso” è sbagliato. Guai a chi si discosta, a chi non si omologa, a chi ragiona con la propria testa. Andare contro corrente, essere originali, specie in una delicata età come l’adolescenza, diventa sinonimo di strani  o, peggio, sfigati.

Far parte di un gruppo che segue invece la moda è una maniera di essere al mondo, di essere come gli altri e quindi esistere.

E per moda non mi riferisco solamente al modo di vestirsi, può fare moda qualsiasi cosa: dai tatuaggi, alla musica, ai piercing, al taglio di capelli, al modo di comportarsi, sfociando spesso in cattive abitudini.

Come afferma lo scrittore Giorgio Caenar, però: «L’umanità non è una produzione in serie di oggetti modellati nella stessa misura e forma…»

Bisognerebbe insegnare ai ragazzi a non omologarsi “ a tutti i costi” alla massa. Bisognerebbe dir loro di scommettere su se stessi, benché sia la cosa più difficile e coraggiosa che un’adolescente possa fare, e di trovare il coraggio di difendere i propri ideali, senza per questo sentirsi condannati dalla società.

Bisognerebbe raccontare loro dei primi temerari delle macchine volanti, dei i primi esploratori dei Poli, delle foreste, degli oceani, dei deserti, delle più alte vette delle montagne. Bisognerebbe ricordare a questi ragazzi, ma qualche volta anche a noi,  di tutti quegli uomini che, appunto con coraggio, hanno fatto dell’avventura una ragione di vivere perché, come sosteneva Albert Einstein “Colui che segue la folla non andrà mai più lontano della folla”.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo