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Alla conquista del volante

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di LAURA FANO

Una conquista tutta al femminile, quella della guida, celebrata pochi giorni fa anche dalla versione araba della rivista di moda Vogue dove, nella copertina di questo mese, è ritratta la principessa Hayfa bint Abdullah al Saud, al volante di un’auto decapottabile nel deserto mentre indossa i tacchi alti.


Il 24 giugno del 2018 passerà alla storia come la fine del divieto di guida per l’Arabia Saudita, unico Paese al mondo a non riconoscere ancora il diritto alla guida per le donne, e dove il divieto era uno dei più noti simboli della repressione e delle restrizioni subite dal sesso debole.

Cade così una nuova barriera verso la libertà per le donne che da oggi non saranno più solo delle semplici passeggere.

Per ottenere questa piccola grande vittoria queste signore hanno lottato contro un diritto negato da una società e da leggi che ancora ne limitano la completa indipendenza dalla figura maschile.

Molti uomini in Arabia Saudita continuano però a sostenere che è culturalmente inappropriato per le donne mettersi al volante. Qualcuno addirittura ha asserito che permettere alle donne di guidare sarebbe promiscuo a tal punto da far crollare la dinastia reale o dannoso per il sistema riproduttivo femminile: pregiudizi che hanno reso la lotta per il diritto alla patente un simbolo di emancipazione e uguaglianza per le donne.

Forse che non tutti sanno, però, che a guidare per la prima volta un’automobile fu proprio una donna, di indubbia determinazione, classe e lungimiranza.

Si chiamava Berta Benz, moglie dell’inventore Karl Benz il pioniere del primo motore a combustione interna a due tempi.

Nel lontano 1888 guidò la Benz Patent-Motorwagen  da Mannheim a Pforzheim, un paesino della Germania meridionale dove si trovava sua madre.

All’epoca questi primi prototipi di automobili venivano collaudati solo da meccanici e ingegneri specializzati, e soprattutto per brevissime distanze. Berta, però, decise di compiere questa impresa per dare risonanza e riconoscimento, oltre a trovare finanziamenti, per l’enorme lavoro che il marito stava portando avanti ormai da anni. Si trattò dunque di un evento mediatico, una sorta d’ inconsapevole ma geniale mossa di marketing, per attrarre l’attenzione dei mezzi di comunicazione e della società.

Dunque la signora Benz percorse circa 100 km all’insaputa del marito, lasciandogli semplicemente un biglietto in cui lo informava del viaggio che stava per affrontare e un telegramma per rassicurarlo una volta arrivata a destinazione.

Le difficoltà e gli imprevisti si rivelarono numerosi, ma Bertha non si perse d’animo e li superò con determinazione e soprattutto grazie alle conoscenze trasferitegli dal marito. La Benz Patent-Motorwagen non si poteva sicuramente definire un auto affidabile e, lungo il cammino, non furono poche le avarie che emersero al motore di questa macchina preistorica.

L’automobile ebbe bisogno di continui rabbocchi di acqua e di sostituzioni del rivestimento in pelle del ceppo del freno che si consumava troppo velocemente. Durante la lunga giornata che impiegò per percorrere questi cento chilometri, la Benz si dimostrò una donna dalle mille risorse: iniziò il viaggio alle prime ore dell’alba e lo portò a termine ormai al tramonto.

Secondo la leggenda, la donna pulì il condotto della benzina con lo spillo del cappellino e ripristinò l’isolamento del cavo di accensione logorato, con l’aiuto del reggicalze. A darle una mano nelle situazioni più faticose, come spingere la vettura in salita per l’insufficiente potenza, ci pensarono i figli e qualche passante.

I freni vennero rinforzati e il carburante non fu facile da trovare. Bertha fu costretta a fermarsi in una farmacia a fare il pieno di Ligorina, un idrocarburo utilizzato in laboratorio. Proprio quella farmacia, nel paese di Wiesloch, è considerata oggi la prima stazione di rifornimento della storia. Altro problema legato al viaggio furono le salite, ma Bertha non si fece prendere dall’ansia: consigliò poi al marito di inserire una marcia più corta per affrontare le strade in pendenza. Una donna da mille risorse, insomma.

In questo modo Bertha non solo fece una pubblicità straordinaria al marito, ma gli permise addirittura di perfezionare la sua invenzione e con il suo tragitto divenne la prima automobilista della storia.


Ma, allacciate le cinture e tenetevi forte, perché se primo italiano a superare la prova di guida  e ottenere il rilascio del libretto fu nel lontano 1901 il torinese Bartolomeo Tonietto, noto chauffeur di casa Savoia, solo sei anni dopo, lo stesso libretto venne rilasciato ad una donna, anche lei di Torino, Ernestina Prola che passerà alla storia come “la signorina al volante”.

A quei tempi non esisteva la scuola guida, bensì la certificazione di un’abilità, attestata dal rilascio di un “libretto”, sul quale dovevano essere annotate le eventuali contravvenzioni “Gli automobilisti che devono circolare sulle strade ordinarie saranno sottoposti alle opportune prove”: recita il primo regolamento che fa riferimento all’autorizzazione alla guida, contenuto nel regio decreto del 28 luglio 1901 n. 416.

Stiamo parlando di un epoca nella quale alle donne non era permesso votare, pochissime riuscivano a studiare e ancor meno erano quelle ad avere un lavoro fuori casa. Dunque Ernestina si è distinta per aver raggiunto un traguardo importante nella storia e nel percorso che porta all’emancipazione della donna. Tanto che fu nominata chauffeuse della scuola di Torino, nella sezione femminile.

La prima “patente di guida” sarebbe invece quella rilasciata a Francesca Mirabile Mancuso di Caronia, a cui è stato intitolato un tratto di lungomare vicino Messina, che ottenne il “certificato di idoneità a condurre automobili con motore a scoppio”, il 5 giugno 1913, dalla prefettura di Palermo, in base al regio decreto n. 798 del 30 giugno 1912, dopo aver conseguito il certificato di abilitazione presso il locale “Circolo Ferroviario d’Ispezione”.

Francesca, aveva ricevuto in dono dal padre nel 1909 una Isotta Fraschini che all’epoca costava ben 14.500 lire.
Nel suo diario personale la donna raccontò lo stupore e lo scalpore di quando per la prima volta, con quel mezzo si recò a Capizzi. Raccontò pure nel diario che i suoi paesani attribuirono a lei ed al mezzo di trasporto la responsabilità di una improvvisa grandinata. Una donna assolutamente rivoluzionaria per l’epoca che poi, nei decenni successivi, deciderà di intraprendere un viaggio con una amica, a bordo di una Lancia Appia, sino al polo Nord attraversando l’Europa.



Analoga licenza fu rilasciata nello stesso anno a Franca e Giovanna Florio di Palermo, nel 1906 alla marchesa Adriana Bosurgi di Messina, nel 1903 alla signora Frangiapane Maria di Roma e alla contessa Corinaldi Treves Emma di Padova, nel 1902 alla principessa Cassini Sforza Carolina di Roma e alla contessa Del Verme Jitte di Milano.

Altro che “donne al volante, pericolo costante”!

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo