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La vulnerabilità della giustizia e delle leggi nel duemila

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di MADDALENA COVIELLO

Il Gruppo Mondiale sulla Migrazione (Global Migration Group) ha recentemente ricordato che “i diritti fondamentali di tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione giuridica in quanto migrante”, sono:

 

 

 

i diritti  alla vita, alla libertà, alla sicurezza, alla giustizia, diritti economici, sociali, culturali, infine “ i diritti umani garantiti dagli strumenti internazionali dei diritti umani cui lo Stato Parte ha aderito e dal diritto internazionale consuetudinario”. «La titolarità dei diritti umani spetta a tutte le persone senza eccezioni. Le persone non li acquisiscono perché sono cittadini, lavoratori, o in conformità a uno status particolare. Nessuno può essere privato dei propri diritti umani perché è una donna o un bambino, o non parla la lingua locale».

Ci si chiede se la riduzione degli sbarchi sia realmente correlata a un’inutile necessità dei migranti di immigrare nell’Unione Europea o altrove. È come dire al proprio medico di soffrire di mal di pancia ed essere rispedito indietro, salvo che si facciano delle leggi che ne tutelino il disimpegno. Si ascoltano notizie persino di profughi che tentano l’ultimo gesto estremo gettandosi in mare, perché non ascoltati. Già appunto, non ascoltati e porre fine al dolore che non riceve soccorso, cosa peggiore di qualsiasi omicidio.

La legge, non vuol dire più giustizia. Sembra si stia eliminando questo significato, sostituendolo con legalizzare quello che è illegale, dare buoni motivi al male. In questa epoca c’è un problema molto più pericoloso del secolo scorso e non sappiamo ancora, dove porterà, se non si arginerà presto la sua deriva: rispettare la legge e conformarla ai diritti umani, dare un valore etico alla legge e alla sua applicazione.

Bisognerebbe accoglierli, ascoltarli, darli un’identità, anche laddove siano irregolari, anziché finanziare i paesi da cui scappano, perché non danno loro una vita dignitosa, utilizzando quei soldi stessi, invece, alla macchina dell’accoglienza. Il tutto aggiungendo che ogni Paese ospitante e i suoi alleati o membri di una Unione, per un totale che veda tutti partecipi, ripartiscano fra loro gli immigrati in base alla capacità di accoglienza. Infine la politica non dovrebbe usare la gente e le loro vite per far valere le proprie opinioni, si sperino le migliori per tutti, ma trattative e diplomazie, che forse si danno per scontato, perché non si considerano.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo