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Frasso Telesino 2018, Cassino 1978. Morte, dolore e l’ombra della vendetta

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di PIERDOMENICO CORTE RUGGIERO

D ante scriveva che si acquista grande onore nel fare vendetta. Nella sua epoca probabilmente, oggi la giustizia ha sostituito il concetto di vendetta. O così dovrebbe essere. Perché non mancano casi di vendette, di giustizia fai da te. Torniamo a parlare di vendetta, a causa dell’omicidio di Giuseppe Matarazzo. Ucciso il 19 luglio scorso a Frasso Telesino . Ad ucciderlo due uomini, che sparano colpi di pistola, per poi fuggire su una macchina lunga e nera. Forse una Bmw. Unica testimone del delitto è la madre del Matarazzo. Giuseppe Matarazzo era tornato a casa sua da un mese, dopo aver scontato una pena detentiva di 11 anni per violenze su una minorenne. Vittima che, purtroppo, si suicida. Proprio il padre della povera ragazza, risulta indagato per l’omicidio di Matarazzo. Indagato non significa, ovviamente, colpevole. Saranno le indagini a chiarire le responsabilità. Eventi simili, portano delle riflessioni e domande. Se una persona a noi cara venisse uccisa, quale sarebbe la nostra reazione? Se tutta la nostra vita venisse distrutta da una mano assassina, saremmo soddisfatti della giustizia dei tribunali? Domande a cui non è possibile rispondere, visto che non è possibile immaginare un tale dolore. L’omicidio, la violenza, provocano rabbia nelle persone che amavano la vittima. Rabbia che può sconvolgere. Come racconta una vecchia vicenda accaduta nel 1978 a Cassino. Precisamente è il 21 ottobre 1978. Leo Cavacece è uno studente universitario in medicina, torna a casa dopo essere stato in discoteca. Mentre cammina, per poco una macchina non lo travolge. A bordo della macchina viaggiano Riccardo Manuti e Fabio De Maria. I due hanno precedenti di polizia. Cavacece ha una discussione con i due. La cosa sembra finita, ma poco dopo tornano Manuti e De Maria. Armati di cattive intenzioni e di un fucile. Bloccano Cavacece e lo uccidono a fucilate. Fabio De Maria viene arrestato poche ore dopo. Riccardo Manuti, invece scompare. Passano due mesi, nel dicembre 1978 a Camposoriano nel Comune di Terracina, vengono ritrovati 4 corpi carbonizzati. Tre uomini e una donna. Per diversi anni non si riesce a dare un nome a quei cadaveri e una spiegazione alla loro morte. Poi nel 1985 arriva la svolta. Michele Evangelista, in carcere per altri reati, racconta una storia agli investigatori. Due dei cadaveri ritrovati a Terracina, sono di Riccardo Manuti e suo fratello Goffredo, anche lui scomparso nel 1978. Ad uccidere i 4 sarebbe stato il padre di Leo Cavacece, aiutato da complici. Una vendetta. Il Cavacece avrebbe attirato Riccaro Manuti in una trappola, in una villa di Terracina. Manuti si presenta insieme al fratello, ad una donna e ad un altro uomo. I 4 vengono storditi con barbiturici e poi strangolati. E dati alle fiamme. Evangelista indica anche la presenza di un quinto cadavere, in un pozzo nel comune di Vallerotonda, vicino Cassino. La Polizia, trova effettivamente i resti di un corpo, vittima della stessa vendetta. Il padre di Cavacece viene arrestato, anche se respinge ogni accusa. Cassino si divide, molti non condannano la giustizia fai da te di un padre sconvolto. La vicenda scompare presto dalla cronaca nazionale. Sono vicende che tolgono il fiato, difficili da raccontare, impossibili da giudicare. Siamo troppo piccoli, troppo fragili, per contenere il dolore provocato dal vedere la persona amata morta in una pozza di sangue, vittima di atroci sofferenze. Non resta nulla a cui aggrapparsi, o meglio resta solo l’amore. L’amore dei ricordi, dei momenti belli. L’amore resiste anche alla morte, ma non alla vendetta. Perché dopo la vendetta l’odio e il rimorso prenderanno il posto dell’amore. Uccidere credendo di fare giustizia, non cambia la sostanza. Si diventa assassini. Togliere la vita ad una persona, ha sempre conseguenze terribili. Perché dopo aver ucciso, rimarrà per sempre il ricordo dello sguardo di una persona che muore, della vita che si spegne. La vendetta forse può dare onore, ma non sollievo. Non la pace.

 

 


Credit foto www.italy.al

Le notizie sui fatti del 1978 a Cassino, sono tratte dal giornale “l’Unità” del 26 ottobre 1985 pag 17

 

Chi è malato terminale oltre ad assumere i farmaci salvavita, passati in esenzione, spesso deve assumere medicinali comuni per mitigare gli effetti collaterali delle cure e della malattia. Laura chiede che i malati terminali possano godere dell’esenzione non solo sui farmaci salvavita ma anche su tutti gli altri medicinali.

Petizione diretta a Giulia Grillo

Giulia Grillo: Esenzione non solo per farmaci salvavita per malati oncologici

Chi è malato di cancro assume medicinali specifici per la cura di questa malattia, chiamati farmaci salvavita e passati in esenzione dal sistema sanitario nazionale. Tuttavia molti sintomi collaterali sia della malattia, che di questi farmaci (es. Chemioterapici o altri) necessitano l’assunzione spesso massiccia di altri medicinali più comuni, come antidolorifici, antipiretici, ecc. che il malato paga a prezzo pieno, con spese notevoli.

Chiedo che chi è affetto da patologie tumorali o chi è malato terminale possa essere esentato dal pagamento di ogni medicinale, essendone l’uso comunque direttamente collegato alla malattia in corso.

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Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo