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8 Marzo, all’insegna della discriminazione

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di FABRIZIO RESTA

Sembra quasi destino che certe cose capitino in prossimità dell’8 marzo, a testimonianza di quanto c’è ancora da fare sui diritti delle donne. Le “pari opportunità” sono un principio che regolano le competizioni, assicurando ai concorrenti uguali condizioni di partenza ma non lo stesso punto di partenza. Sono un po’ come una gara di 200 m: c’è chi parte davanti a tutti ma poi deve fare più strada nelle curve e chi parte dietro ma fa meno strada dopo. cosicché dopo la curva sono più o meno tutti lì, poi saranno “le gambe” dei concorrenti a fare la differenza. Quindi un concetto molto diverso dall’uguaglianza: uguaglianza delle condizioni ma rispettando le diversità.


La nostra società, invece, è ingiusta con i più deboli e creatrice di sempre più forti disuguaglianze sociali, oltre che economiche: dalle discriminazioni sui luoghi di lavoro alle disparità di accesso, retribuzione e carriera, dal sostegno dei servizi sul territorio, come i consultori e i centri antiviolenza, fino alla battaglia storica per la piena applicazione della legge 194, per cui a 40 anni di distanza, l’ obiezione di coscienza dei medici che più che uno stato d’animo, spesso è anche una consuetudine imposta, rende pressoché impossibile l’esercizio di un diritto sacrosantissimo qual è il diritto della donna di interrompere la gravidanza. Dalle quote rosa ai salari differenziati, fino alla proposta di permettere alle lavoratrici di lavorare fino al 9 mese di gravidanza, che più di una libertà sembra un via libera ai soprusi dei datori di lavoro. Infine, proprio in questi giorni, l’ammissione al corso di qualificazione (2018-2019) di 565 allievi marescialli a cui si impedisce la partecipazione a chi è in dolce attesa prima della conclusione della procedura.

“I candidati di sesso femminile – dispone infatti il bando in questione – dovranno esibire referto del test di gravidanza mediante analisi su sangue o urine, effettuato entro i 5 giorni antecedenti la data di presentazione per lo svolgimento degli accertamenti psico-fisici, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 580, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90” affermante che “ Lo stato di gravidanza costituisce temporaneo impedimento all’accertamento”. In caso di positività del test le candidate “che si trovano in dette condizioni” vengano nuovamente convocate per essere sottoposte agli accertamenti. Potranno essere ammesse, con riserva, a sostenere gli accertamenti attitudinali e “se in occasione della seconda convocazione il temporaneo impedimento perdura”, la candidata sarà esclusa dal concorso per impossibilità di procedere all’accertamento del possesso dei requisiti previsti dal bando.

Non è la prima volta che la gravidanza diventa un ostacolo per la piena realizzazione della donna . il Tar Puglia (Bari), ha accolto il ricorso di una aspirante ad un impiego cui era stato negato il rinvio delle prove orali, richiesto in considerazione del suo stato di gravidanza. Un anno fa a Forlì, durante un concorso per specializzazione medica, ad una donna incinta di 8 mesi non solo le è stata negata la possibilità di andare in bagno per quattro ore ma le hanno anche consigliato di comprare un pannolone. Fino a pochi anni fa, alle donne veniva fatto firmare una lettera di dimissioni in bianco come “conditio sine qua non” per essere assunte che costavano molto meno rispetto ai servizi per l’infanzia e ai nidi aziendali.

Eppure, dal punto di vista normativo, non sembra che ci sia bisogno di ricorsi o sentenze del Tar. L’art. 3 e 51 della Costituzione dichiarano l’uguaglianza e pari dignità sociale dei cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, dando il compito allo Stato di promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. Sulla stessa linea la Direttiva Cee del 9 febbraio 1976 art.3 che recita: “L’applicazione del principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda le condizioni di accesso, compresi i criteri di selezione, agli impieghi o posti di lavoro qualunque sia il settore o il ramo di attività, e a tutti i livelli della gerarchia professionale”. Sul piano nazionale, la tutela della maternità ha trovato la sua realizzazione nella legge 30 dicembre 1971 n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici madri nonché nella legge 10 aprile 1991 n. 125 sulle pari opportunità.  L’art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’art. 6 della Legge 28 novembre 2005, n. 246) prevede che: la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione”. L’art. 27 dello stesso decreto stabilisce che: è vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma, o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, e qualunque sia il settore o il rame di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale”.  Il Tar in realtà si è già pronunciato su questo: ““la gravidanza esonera l’interessata dal sottoporsi temporaneamente all’accertamento, ma non può essere considerato di per sé come una causa di inidoneità come è avvenuto nella fattispecie, perché è illegittima”. Perché allora quando si redigono i bandi di concorso si continua a scrivere una formula che poi verrà cassata dai Tar? Forse per scoraggiare?

Sarebbe preferibile acquisire maggiore consapevolezza sulle discriminazioni di genere durante la festa dell’8 marzo. Il percorso da fare è ancora lungo e non si accettano passi da gambero. Nonostante le leggi ci siano e nnonostante l’impegno di convegni, ricerche e pubblicazioni è ancora un problema non risolto.  La condizione del mondo del lavoro femminile appare ancora più in contraddizione in una società che parla tanto di family day di lotta all’aborto, di obiezione di coscienza per poi costringere una donna incinta a scegliere di rinunciare alla carriera (o al figlio). La gravidanza non è una disabilità né una malattia infettiva. No, Per l’8 marzo le mimose non bastano.

Fonte foto: www.ilfattoquotidiano.it

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo