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“Agim Mato, un poeta già classico”

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di ROSAMARIA FUMAROLA

“…Ma tu, Dio, di chi avevi paura

che non stavi accanto al nostro destino, di chi avevi paura?

 


Nemmeno un segno da te, Dio,

nessun segno quando cercavamo in cielo

al di là dei fulmini il tuo profilo,

quei fulmini che aspettavamo che cadessero

lì dove avrebbero dovuto e tardavano a cadere.

Dimmi un po’, Dio, per amor di Dio, Dio,

perché non stesti accanto a noi, in quegli inverni

di grandi odi?

Agim Mato

È in questi giorni a Bari, per presentare la sua ultima raccolta “Giardini della memoria” il poeta albanese Agim Mato.

Nato nel 1947 a Saranda, nel sud dell’Albania, nel 1969 pubblica il suo primo libro “Sud”, a cui fa seguito nel 74 il secondo “Sulla soglia delle nostre case”. Il regime socialista, al potere fino al 1992, gli impedirà tuttavia ulteriori pubblicazioni.

La particolarità della vicenda umana di Mato si riflette drammaticamente nei suoi componimenti, alcuni dei quali ci riportano con la memoria alle narrazioni tragiche degli eventi della seconda guerra mondiale, alle sofferenze patite dalle popolazioni, le cui sorti furono legate all’arbitrio ed alla follia degli uomini e si subisce una sorta di straniamento nell’apprendere che quella follia non sia mai morta e che in quello stesso occidente, che si riteneva ormai immune, sia  tornato a prendersi i respiri ed i giorni degli uomini.

Mato riparte dalla privazione, dal nulla a cui il regime socialista lo ha relegato e si riappropria  delle parole, della loro disarmata armonia per riaffermare la vita. In questo faticoso percorso per Agim Mato la dimensione umana non è un punto di partenza ma un obiettivo da raggiungere. Tale necessità segna la distanza abissale tra le centinaia, migliaia di raccolte poetiche che ogni giorno vedono la luce ed il messaggio di Agim Mato, per il quale l’opportunità offerta dalla raccolta poetica è volta al recupero dell’uomo.

Tuttavia Mato si mostra intellettuale disincantato anche nei confronti dei nuovi frutti, quelli dell’era post socialista, verso un certo progresso e del suo modo di intendere il rapporto con la natura. Si pone con ciò in linea con le voci che attraversano l’occidente e si interrogano sulla globalizzazione e sul prezzo dell’apparente libertà da essa offerta.

Agim Mato si preoccupa anche, guardando alla civiltà classica, di annodare i fili della storia ed unisce i lembi di quel passato insuperabile con quelli di un’umanità più recente, capace di progettare e costruire campi di sterminio produttivi come industrie, sottolineando, senza esplicitarla, una responsabilità profonda nel dimenticare e seppellire le radici della civiltà occidentale.

Le parole di Mato superano la loro natura, fendono gli elementi, recuperano una dimensione fisica che va oltre quella dei suoni e tentano ciò che all’uomo non è consentito ma ai poeti veri sì.

È questa la ragione per la quale la sua è una poesia necessaria: aggiunge infatti all’esperienza umana qualcosa che non le appartiene, segnando ancora il dimenticato confine tra ciò che è utile e ciò che non lo è.

 

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Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo