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“A chi porterà le arance Virginia Raggi?”

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di ROSAMARIA FUMAROLA

“Il fatto non sussiste ”


Così la Corte di Cassazione ha annullato, senza rinvio, la condanna a due anni di reclusione, comminata in appello all’ex sindaco di Roma Ignazio Marino, per aver usato la carta di credito che gli era stata rilasciata durante il suo mandato dall’amministrazione capitolina, per pagare una cinquantina circa di cene di rappresentanza. Tali accuse portarono alle dimissioni di Marino dalla carica di sindaco. Molti ricorderanno i fatti risalenti al 2015, a cui tutti i media diedero ampio risalto.

Di tale vicenda e della narrazione che ne fecero all’epoca tv e giornali, , personalmente ricordo l’imbarazzo, il disagio che Marino, in seguito alla formulazione delle accuse a suo carico, mostrò durante le apparizioni pubbliche, mentre, braccato dai giornalisti era  incapace di formulare una difesa convincente. Mi colpì anche che, mano a mano che i giorni passavano, le sue deboli argomentazioni difensive lasciavano il posto a poche parole balbettate, che avevano perduto persino la dignità di veicolare un qualche senso compiuto. Nonostante ciò, Marino non si sottrasse a lunghe interviste televisive in cui, giornalisti di ogni schieramento politico, si ergevano a censori del malcostume altrui, felici di individuare e sottoporre a gogna una vittima sacrificale troppo debole  per attirare gli interessi di qualcuno. Ed in effetti l’ex sindaco, in quel momento era solo, ma non contro tutti. È più rispondente al vero infatti, dire che tutti erano contro di lui, in primo luogo il suo partito di appartenenza, il Partito Democratico e poi il Movimento 5 Stelle, con l’attuale sindaco di Roma, Virginia Raggi ed i suoi sodali Daniele Frongia e Marcello De Vito, arrestato lo scorso venti marzo per corruzione nella vicenda dello stadio della Roma. In estrema sintesi, attraverso un uso strumentale della giustizia si sfiducio` politicamente l’ex sindaco, perché in Italia non c’è niente di più diffamatorio che adombrare il sospetto di una condotta non specchiata per liberarsi di un avversario politico.

La vicenda in oggetto apparve  però sin dalla sua origine, gravata da troppi punti interrogativi ed in essa un ruolo determinante fu svolto proprio dal  sospetto, che da solo fu in grado di distruggere la credibilità politica dell’ex sindaco della capitale, una capitale di fatto gestita da gruppi di potere non di rado criminali, decisi ad opporsi con ogni mezzo a qualsivoglia riduzione della propria fetta di guadagno.

Non è nelle mie intenzioni fare di Ignazio Marino il ritratto di una figura dal grande spessore politico ed intellettuale, né tantomeno quella dell’eroe che si sacrifica per un ideale che lo trascende. Sappiamo bene tutti che da molti anni tali figure sono scomparse dalla politica italiana ed i tempi attuali non hanno certo bisogno di eroi per la gestione della cosa pubblica. Non dispongo nemmeno delle informazioni che riterrei necessarie per formulare un giudizio sull’amministrazione di Roma affidata a lui che, probabilmente, non è stata né migliore né peggiore di quella di quanti lo hanno preceduto. Una delle poche cose certe a tale proposito è che non sia stata peggiore di quella dell’attuale sindaco, Virginia Raggi.

Ma se mi fanno difetto taluni dati di carattere politico, quanto i media decisero di mostrare di questa vicenda, fu sufficiente per suscitare in me un disagio che mi impedì di gridare “Ladro!”e mi fece riflettere di più sulla condizione umana di una persona, all’improvviso accusata ed abbandonata da tutti, senza alcuna possibile forma di immediata difesa a sua disposizione. Marino appariva come una figura imbarazzata, sempre più fragile e sempre più lontana da quella del politico scaltro, consapevole che il potere non sia tanto un gioco con cui val la pena identificarsi, quanto uno strumento per il raggiungimento dei propri scopi e che abbisogna di una certa dose di abilità per essere gestito senza bruciarsi.

Nel nostro paese infatti, il ricorso alla macchina della giustizia ed ai suoi limiti, in particolar modo la sua lentezza, si rivela essere sempre uno strumento efficace per liberarsi velocemente di qualcuno. Che il tempo o quella stessa farraginosa macchina  riabiliti quel qualcuno non ha poi alcuna importanza, poiché il più delle volte il malcapitato non ricopre la carica che occupava e che è stata all’origine della sua sfortunata vicenda.

Tale espediente risulta dunque essere il migliore per screditare un avversario politico, perché, lungi dal portare a serie condanne da un punto di vista giudiziario, consente una condanna senz’appello da parte dell’opinione pubblica votante che, com’è noto, non ama esercitarsi nei rituali tre gradi di giudizio.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo