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Il dono impossibile

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di MICHELANGELA BARBA

Tra i vari temi che appassionano il dibattito femminista contemporaneo un ruolo di rilievo lo ha la cosiddetta gestazione per altri o utero in affitto o maternità surrogata che dir si voglia.


Favorevoli e contrari si scontrano quotidianamente sui social e nelle piazze, i primi invocando libertà di scelta e parità di diritti, i secondi ribadendo la priorità di tutelare il legame materno.

Non mancano testimonianze dirette a favore dell’una e dell’altra posizione, sapientemente citate.

In particolare è aspra la divisione all’interno del mondo LGTB etc tra Arcigay favorevole al riconoscimento della pratica e Arcilesbica dichiaratamente contraria.

Lo scambio spesso sfocia nell’attacco personale.

Da un lato accuse di omofobia, bigottismo e pensiero reazionario, dall’altro quella di misoginia e maschilismo.

Ora, ferma restando la libertà delle persone di organizzare come meglio credono la propria vita e le proprie relazioni, si fatica a non vedere il pericolo di attribuire ad una donna gravida il mero ruolo di incubatrice, fosse anche incubatrice volontaria e consenziente.

La differenza tra un’eiaculazione e una intera gravidanza non è certo dettata dalla cultura ma dal dato di realtà che non si può non riconoscere volendo confrontarsi in modo sincero.

Neppure è dato comprendere perché il dibattito italiano debba fossilizzarsi sulla pratica della gestazione per altri quando esistono, molteplici e sicuramente meno invasive modalità alternative di accesso alla genitorialità sia per coppie di uomini sia per coppie con problemi di fertilità.

A cominciare dal co-parenting che offre al minore una pluralità di figure genitoriali che tra loro cooperano costantemente, a seguire con una seria politica delle adozioni, delle adozioni miti, degli affidamenti di tipo internazionale.

Si legge che alcune donne sono desiderose di donare una gravidanza ma ci si chiede che dono possa essere il dono di qualcosa che non ti appartiene, non completamente almeno, ma che transita dal corpo, dal sangue e dalla psiche, lasciando comunque un marchio indelebile. Un marchio che non si dona a nessuno, nel bene e nel male.

I volontari di Ebano ben ricordano la storia di X forse minore o forse no che riuscì a fare l’ecografia per accertare la gravidanza solo al sesto mese inoltrato, forse per paura che il compagno-sfruttatore con il metodo lover boy la facesse abortire come era successo già tra volte nei diciotto mesi precedenti.

Chiese di non dire niente a nessuno, di non fare niente e continuò a stare in strada fino all’ultimo giorno. Ma proprio l’ultimo ne sento che ebbe la rottura delle acque per strada dopo l’ennesimo cliente.

Che peraltro come molti colleghi non aveva mancato di manifestare la propria eccitazione e soddisfazione per la prestazione scambiando per squirting le perdite acquose di fine gravidanza.

Corsa in ospedale e parto con telo divisorio al pari di quanto avviene nei cesarei dato che la madre annunciò che non avrebbe riconosciuto il bambino.

Nacque un maschio e il telo impedì alla madre di vederlo…ma non di sentirlo.

Il pianto del bambino e la voce dell’ostetrica che commentava: “Povero piccolo, senza la mamma, fanno i figli e poi…”

X firmò la dimissione e il giorno dopo era in strada.

Al lover boy disse solo che aveva avuto un malore.

Pochi mesi dopo lui portò in strada un’altra donna e lei sparì.

I mesi prima di sparire però furono mesi di strazio per tutti

Perché non c’era giorno, ora, che X non parlasse del suo bambino, non collezionasse foto chiedendo e chiedendosi se il piccolo ritratto assomigliare al suo, non facesse fantasie sulla nuova famiglia.

X era una ragazzina disperata e quel figlio era il figlio della violenza.

Ma l’averlo tollerato, per appena tre mesi dalla certezza della sua esistenza, senza esami, senza controlli, stringendosi la pancia per non fare accorgere nessuno di quella presenza, l’averlo partorito in fretta e con l’ansia di tornare alla quotidianità, senza vederlo, senza guardare neppure le foto dell’ecografia, avere sentito quei pochi attimi di pianto disperato per lei, per lei sola, solo questo l’aveva resa madre in cuor suo.

Una madre ferita a morte.

Nei libri di giurisprudenza si studia la differenza tra diritti disponibili e diritti indisponibili.

Nella costituzione americana (Che pure in alcuni Stati consente la gestazione per altri) si stabilisce il diritto alla felicità.

Forse si potrebbe ricominciare dalle basi.

Da un pianto disperato, il primo per ciascuno di noi, che certa una persona e una soltanto, privilegio sublime o amaro che non si può vedere né donare.

Neanche quando – per le più svariate ragioni- si decide di farlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo