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Kant, La fine di tutte le cose

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di MARIAPIA METALLO

Kant, 1794, La fine di tutte le cose: “Ma perché gli uomini si aspettano in generale una fine del mondo?

 

E perché proprio una fine accompagnata, per la gran parte del genere umano, dal terrore? L’origine della prima convinzione sembra risiedere nel fatto che la ragione dice loro che la durata del mondo ha valore solo nella misura in cui gli esseri razionali sono all’altezza, in essa, dello scopo finale della loro esistenza, ma se questo scopo finale non dovesse essere raggiunto, la creazione stessa diverrebbe per loro senza scopo: come un dramma teatrale senza epilogo e che non lascia intravedere la traccia di alcun disegno razionale. La seconda si basa sull’opinione che il genere umano sia costitutivamente corrotto, tanto da non lasciare alcuno spazio alla speranza.


Allora, l’unico criterio adeguato alla saggezza e giustizia supreme (secondo la gran parte degli uomini) sarebbe di porvi fine, anzi, di porvi una fine tremenda. Perciò anche i segni che annunciano il Giorno del Giudizio (quando mai, infatti, un’immaginazione eccitata da grandi aspettative si farà mancare segni e prodigi?) sono tutti di natura terrificante. Alcuni li scorgono nel dilagare dell’ingiustizia, nell’oppressione dei poveri a causa della smodata tracotanza dei ricchi e nella generale perdita di lealtà e fiducia; oppure nelle guerre sanguinose che divampano a ogni angolo della terra, e così via: in una parola, nella decadenza morale e nella crescente diffusione di tutti i vizi assieme ai mali che li accompagnano, quali, a detta loro, mai si erano visti nei tempi passati. Altri, invece, li intravedono in mutamenti naturali eccezionali, come nei terremoti, negli uragani e nelle alluvioni, oppure nelle comete e nelle meteore”.


O anche, come sappiamo oggi, nei buchi neri e negli esperimenti scientifici che li provocano. Continua infatti Kant: “In realtà, non è immotivata la percezione che gli uomini hanno del fardello della propria esistenza, per quanto ne siano essi stessi la causa. La ragione di ciò mi sembra risieda in questo: accade naturalmente che i progressi del genere umano nel coltivare il talento, l’abilità e il gusto (con ciò che ne consegue: l’opulenza eccessiva) sopravanzino lo sviluppo della moralità, e tale condizione è appunto la più gravosa e la più pericolosa sia per la moralità sia per il benessere fisico”.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo