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La Grande Crisi

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di SIMONE DEL ROSSO

Mai come in questa fase della politica italiana, le sorti del nostro Paese sono condizionate dalle tattiche, dalle strategie e dalle ambizioni personali dei principali leader politici.


 


 

Durante la Prima Repubblica molte crisi di Governo sono state risolte richiamando le forze dell’arco costituzionale all’unità e alla leale cooperazione, per senso di responsabilità verso i cittadini.  Oggi, il senso delle istituzioni e la responsabilità verso il Paese non ci sono più. È il tempo del tutti contro tutti. Ed ecco perché questa non è solo una delle tante crisi di governo, questa è una crisi di sistema, una crisi delle istituzioni, la Grande Crisi.

La crisi va risolta in tempi brevi come richiede un grande Paese come il nostro. Sono possibili solo governi che ottengono la fiducia del Parlamento con accordi dei gruppi su un programma per governare il Paese, in mancanza di queste condizioni la strada è quella delle elezioni”.

Così il capo dello Stato, Sergio Mattarella, facendo il punto al termine della seconda giornata di consultazioni al Quirinale per sondare la possibilità di una nuova maggioranza. Ha poi annunciato per martedì prossimo un ulteriore giro di consultazioni con le forze politiche per “trarre le conclusioni e assumere le decisioni necessarie” a risolvere la crisi.

La decisione nasce dal fatto che nelle ultime ore alcuni partiti hanno avviato iniziative per un’intesa in Parlamento per un nuovo Governo (M5s-Pd) e hanno avanzato la richiesta di avere qualche giorno in più per sviluppare il confronto. Inoltre, anche da altre forze politiche (la Lega) è stata espressa la possibilità di ulteriori verifiche.

Poco prima, Mattarella aveva sottolineato alla stampa che “il presidente della Repubblica ha il dovere, ineludibile, di non precludere l’espressione di volontà maggioritaria del Parlamento, così come è avvenuto, del resto, anche un anno addietro, per la nascita del governo che si è appena dimesso. Al contempo ho il dovere di richiedere nell’interesse del Paese decisioni sollecite”. Quella di nuove elezioni è “una decisione da non assumere alla leggera, dopo più di un anno di vita legislativa, mentre la Costituzione prevede che gli elettori vengano chiamati al voto per eleggere il Parlamento ogni cinque anni”, ha ricordato Mattarella. Ma “il ricorso agli elettori è tuttavia necessario qualora il Parlamento non sia in condizione di esprimere una maggioranza di governo”.

Dopo aver sentito nell’arco della giornata le delegazioni di Fratelli d’Italia, Pd, Lega e 5 Stelle Mattarella ha deciso di concedere più tempo a Pd e M5S, i due partiti più disponibili a cercare un’intesa politica in grado di formare una nuova maggioranza a sostegno di un nuovo esecutivo. Dall’assemblea dei gruppi parlamentari M5S, i penta stellati hanno confermato la volontà di voler aprire ad un confronto con il Pd, poco prima delle dichiarazioni di Mattarella. “Dalle proposte e dai principi da noi illustrati al capo dello Stato e dalle parole e dai punti programmatici esposti da Di Maio, emerge un quadro su cui si può sicuramente iniziare a lavorare”, ha replicato il segretario del Pd Nicola Zingaretti negli stessi minuti.

Intanto, Salvini, colui che ha dato vita alla crisi di Governo depositando la mozione di sfiducia, poi maldestramente ritirata per far rimbalzare la responsabilità della caduta del governo su Conte, ha riaperto le trattative con i 5 stelle, ripristinando, di fatto, la situazione di un anno fa: i due forni. Sebbene da un lato, le elezioni anticipate sarebbero per lui manna dal cielo, visti il risultato alle scorse elezioni europee e i sondaggi vincenti di questi mesi, Salvini ha fiutato il rischio di ritrovarsi isolato in Parlamento e all’opposizione di una nuova maggioranza.

Intanto nel Pd, gli interessi contrapposti tra le correnti diventano sempre più forti. Al senatore fiorentino, rinvigorito dalla caduta del governo Conte, non mancano né cinismo né tempi di reazione. Per rilanciarsi è disposto a tutto. Dare il colpo di grazia al Pd, tarpare le ali al suo segretario, allearsi con i suoi acerrimi nemici: Di Maio e soci. Un ribaltone nella maggioranza necessario a fermare l’avanzata della destra di Salvini. Attraverso un governo istituzionale o politico con i 5 stelle, Renzi vuole prendere tempo. Infatti, è consapevole che le elezioni in autunno potrebbero far collassare il suo progetto di nuovo partito personale, a cui sta da mesi lavorando. Dunque, sarebbe a favore di una alleanza politica con i grillini, dato che anche loro pur di non andare al voto subito, sono disposti a tutto. Per Di Maio è assolutamente prioritario evitare elezioni anticipate, nel momento più complicato per il suo partito, travolto dalla forza di Salvini.

I tempi del “#senzadime” (solo fino a qualche settimana fa) sono ormai storia passata.

Ma, d’altro canto, le elezioni anticipate permetterebbero a Zingaretti di comporre le liste e formare un nuovo gruppo parlamentare, isolando Renzi. Nel caso di formazione di una nuova maggioranza, il primo resterebbe ostaggio per altri mesi dell’esercito parlamentare controllato dal suo predecessore. Proprio Zingaretti, nel Lazio, aveva stretto un accordo con il M5S e negli ultimi mesi non aveva escluso la possibilità di un confronto con i grillini sui temi sociali e ambientali.

Ma Renzi venisse sconfitto e si andasse a votare, quest’ultimo perderebbe molto.

Se restasse nel Pd avrebbe a disposizione poche unità di senatori e deputati. Se fondasse il suo nuovo partito, avrebbe pochi giorni per lavorare al simbolo, alle liste, alla coalizione e alla pianificazione di una campagna elettorale vincente.

Ma se Renzi, vincesse la battaglia riuscendo a contribuire a far nascere un governo di legislatura, politico, di scopo, del presidente o istituzionale, la mossa risulterebbe vincente e tornerebbe al centro della politica italiana.

I renziani avvertono: “Se si va ad elezioni subito, con Salvini che fa un accordo con un pezzo di FI e Meloni, diventerà premier. La Lega prenderà quasi tutti i collegi uninominali. Andrà così forte che i sovranisti neofascisti potrebbero avere la maggioranza assoluta senza FI e formare un governo di estrema destra. Nel 2022 eleggeranno il Presidente della Repubblica, faranno leggi liberticide come il decreto sicurezza bis e sposteranno la nazione dall’asse europeista ed atlantico verso la Russia”. Renzi spinge per l’accordo, facendo leva sui timori l’economia, l’esercizio provvisorio, la necessità che un esecutivo dei responsabili eviti un aumento dell’IVA.

Ma il vero obiettivo di Renzi, condiviso anche da Zingaretti, è modificare il Rosatellum bis: una legge elettorale che consentirebbe a Salvini e soci di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e al Senato anche con il 42% dei voti.

Renzi ha, infatti, aperto al taglio dei 345 parlamentari, la legge costituzionale che Di Maio vorrebbe far votare alla Camera in ultima lettura e che il Pd ha finora criticato. Una sua rapida approvazione consentirebbe di prendere tempo fino al necessario referendum confermativo. Il varo della norma costituzionale giustificherebbe una nuova legge elettorale, che Pd e 5Stelle vorrebbero basata su proporzionale puro. Con il proporzionale, infatti, la coalizione sovranista, finanche alle elezioni prendesse il 40-45% sarebbe costretta a trovare alleati sia per formare un esecutivo sia per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.

Nelle ultime ore però, Zingaretti e il presidente del partito Paolo Gentiloni hanno esternato fortissime perplessità sull’ipotesi del governo con il M5S e vedono come naturale sbocco della crisi le urne anticipate. Il timore è che un governo di questo tipo avrebbe il respiro corto, permettendo a Salvini di fare quello che sa fare meglio, ovvero stare all’opposizione, per poi “mobilitare le piazze per le elezioni in primavera”.

Zingaretti in accordo con Gentiloni ha dettato alla stampa condizioni più stringenti nella serata di ieri: stop al taglio dei parlamentari a meno che non si lavori alla redazione di un’agenda ampia che tenga conto di una riforma della legge elettorale che garantisca rappresentanza democratica ai territori, abolizione dei decreti sicurezza di Salvini, preaccordo sulla manovra economica. È evidente la difficoltà di trovare in pochi giorni l’accordo sulla legge di bilancio, soprattutto su come disinnescare le clausole di salvaguardia sull’Iva per 23 miliardi, ma soprattutto è il taglio dei parlamentari ad essere punto imprescindibile nell’accordo.

Che si vada ad elezioni anticipati o che si formi una nuova maggioranza, i leader politici, ognuno con la sua strategia, ambiscono ad avere voce in capitolo per piazzare amministratori delegati, presidenti e uomini di fiducia. Ecco perché tutti, nessuno escluso, hanno interesse a giocarsi questa partita. Ed ecco perché questa non è solo una crisi di Governo, ma è una crisi del sistema politico italiano. L’opportunismo, il tatticismo e il trasformismo delle precedenti repubbliche, sono tornati prepotentemente sulla scena politica.

In un momento storico in cui l’avanzata delle destre reazionarie in tutto il mondo, richiederebbe un’alleanza delle forze progressiste, riformiste, eco-socialiste sulla base di un’ambiziosa agenda politica, che metta al centro i temi della Green Economy e della giustizia sociale.

Se il centrodestra a trazione salviniana dovesse vincere le eventuali elezioni in autunno, non solo avrebbe i numeri per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica, ma avrebbe forte voce in capitolo sulle nomine dei vertici delle grandi partecipate di Stato, da Eni all’Enel, Leonardo, e Poste Italiane, che scadranno con l’approvazione del bilancio 2019. Inoltre, con un’ampia maggioranza in Parlamento, Salvini cercherebbe di cambiare la Costituzione, magari per avere quei “pieni poteri” di cui tanto parla, o peggio, uscire dall’euro e dall’UE.

Nelle prossime ore vedremo se il Pd e il M5S sono all’altezza di questa sfida, o l’accordo si rivelerà impossibile tra due forze che troppo a lungo si sono fronteggiate.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo