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Le jour de gloire

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di MICHELANGELA BARBA

Grande vittoria in casa Ebano


 


 

Giusto due settimane fa chiedevamo alla nuova Ministra dell’interno di prendere posizione sugli allontanamenti dal territorio nazionale di donne romene in prostituzione pur essendo cittadine comunitarie pertanto con diritto di circolazione nell’intera Unione Europea. Tale diritto secondo la normativa può essere compresso solo quando il cittadino comunitario rappresenti un concreto pericolo per lo Stato in cui si trova.

La prassi degli ultimi anni, avallata dalla stessa dottoressa Lamorgese quando era a capo della Prefettura di Milano: allontanare donne in prostituzione ritenendole pericolose non già per il decoro urbano, come aveva cercato di sostenere qualche sindaco, ma nientepopodimeno che per lo Stato e la sua sicurezza.

Omettendo di allontanare i rispettivi “maritini”, i papponi in salsa lover boy, che infatti non hanno mai abbandonato l’Italia se non per una breve vacanze volta a sostituire la pericolosa allontanata.

Senza interrompere la relazione con lei, ci mancherebbe.  Solo ricollocandola in un altro stato dell’Unione.

Dopo oltre due anni di battaglia legale, due gradi di giudizio, una serie di sacrifici e rinunce per anticipare il denaro necessario a sostenere le spese legali, finalmente, il 17.09.19 la Corte d’Appello di Milano ha accolto il ricorso contro l’allontanamento di una delle nostre ragazze, riconoscendo da un lato il suo diritto a soggiorno in Italia e dall’altro che il legame costruito con gli operatori deve essere a tutti gli effetti riconosciuto come “radicamento” sul territorio, al pari di un legame familiare.

Di più, la Corte, riprendendo la relazione di Ebano, cita la tecnica del lover boy quale strumento di abuso atto anche a spiegare per le sue peculiarità la mancata denuncia e inquadra la condizione di donna in prostituzione come elemento di vulnerabilità e non di prognosi di pericolosità sociale.

La Corte dichiara quindi illegittimo il provvedimento di allontanamento, definendone “stereotipata” la motivazione.

Meglio di così non poteva andare, verrebbe da dire.

Invece, meglio di così, è arrivata anche la condanna al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.

Un riconoscimento schiacciante delle ragioni che abbiamo sostenuto, dal primo giorno in cui la ragazza era trattenuta in Questura e non ci fu permesso di spiegarle. O dal secondo giorno quando l’avvocato d’ufficio ci liquidò dicendo che la convalida dell’allontanamento era una formalità e non c’era nulla da fare se non aspettare il termine del divieto di reingresso di cinque anni.

E così via, giorno per giorno, rassicurando la ragazza che non ci saremmo arresi. MAI.

Abbiamo iniziato a usare nei nostri post l’hastag #finoallafine anche per questo.

La fine, si spera, è arrivata. D. può cominciare a ricominciare. Il letto per lei è pronto da due anni.

Noi possiamo continuare a lavorare con un briciolo di speranza e motivazione in più.

Vedere riconosciute le proprie ragioni è terapeutico per tutti

Per le ragazze, che ne escono sollevate dal senso di colpa, che iniziano a capire che un’altra lettura della realtà è possibile.

Per chi lavora con loro e ogni giorno manda giù i bocconi amari e amarissimo dell’indifferenza se non dell’aperta ostilità delle istituzioni.

La consapevolezza di essere riusciti a far valere le proprie ragioni almeno una volta è “il precedente” su cui fondare le battaglie successive. Per noi l’empowerment abita da queste parti.

Non a caso stiamo già studiando quanti altri ricorsi presentare sulla scia di questo.

A meno che le autorità non decidano di ritirare i propri provvedimenti in autotutela facendo risparmiare ai cittadini il denaro della condanna alle spese.

Forse potrebbe essere utile quell’appuntamento con la nuova Ministra degli Interni…

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo