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“Pasolini e don Milani…. gli ultimi veri pedagogisti italiani” ( Goffredo Fofi)

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di MARIAPIA METALLO

 

Voci solitarie e inquiete entrambe, quelle di Pasolini e don Milani, se si pensa al terreno comune del loro situarsi sempre fuori dal coro, del coraggio trasgressivo dell’intransigenza critica, della passione per il ruolo dell’educazione, progettata e praticata però con modi alternativi e non convenzionali di azione didattica.

Ed entrambi poi, dopo la morte, destinati ad essere variamente fraintesi, strumentalizzati o tirati sotto le più diverse bandiere. Pasolini fu subito attratto da Lettera a una professoressa ed esaltò quel testo come “straordinario”. Dalla sua Pasolini aveva del resto il termine di confronto di una personale pratica reale di insegnamento. “Maestro mirabile” lo definì il preside, “che applicava con originalità l’attivismo pedagogico di Dewey, ma finalizzava la sua “pedagogia pedagogica” a scopi etici e alla valorizzazione della coscienza libera e critica”. Posizioni appassionate che infine portarono Pasolini all’intransigenza provocatoria degli ultimi anni, alla proposta radicale dell’abolizione o della sospensione della scuola dell’obbligo, che aveva dismesso la sua vocazione formativa ed era diventata agenzia di conformismo e consumismo, parallelo e omologo a quello diffuso dalla Tv o dalla pubblicità. Due maestri, scomodi, ribelli e appassionati, pur nella diversità dei temperamenti e delle scelte: don Milani, testardo, savonaroliano e infuocato; Pasolini, mite, implacabile e poi disperato critico della modernità, innamorato della cultura e della poesia. Per entrambi, tuttavia, resta tenace il valore comune della forza rivoluzionaria dell’educazione.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo