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Totum et nihil

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di MICHELANGELA BARBA

Gira per il web un manifesto.


Campeggia l’immagine di una donna con una scritta in sovrimpressione: ho tutto per avere un figlio, tranne l’utero. Invoca poi la signora una legge che tuteli “la gravidanza solidale” (meglio nota come gestaziine per altri, che a sua volta è l’evoluzione linguistica di “utero in affitto” e prima ancora “maternità surrogata”) e i bambini nati da questa.

Dice proprio così,  “solidale”, come il caffè e il cioccolato negli appositi negozi (peraltro abbastanza costosi).

“Solidale” come una bancarella di raccolta fondi in cui si è soliti acquistare cianfrusaglie ma in fondo è per una buona causa.

Un termine leggero e à la page, che piace è che sicuramente gli esperti di social management avranno accuratamente selezionato.

Ma, sorvolando sull’esegesi, preme riflettere sull’essenza stessa del messaggio.

“Per aver un figlio ho tutto tranne l’utero”

Già. Peccato che per avere una gravidanza sia esattamente l’utero ciò che occorre.

E nessun altro “tutto”.

Non a caso le persone più povere, storicamente, sono definite “proletari” e “proletarie” ovvero dotate di un’unica ricchezza, quella generativa.

Per avere invece un figlio l’utero non serve è neppure una gravidanza più o meno solidalmente retribuita.

Serve avere capacità di cura. Di attenzione. Di mettersi in discussione. Oltre, of course, un livello sufficiente di inserimento sociale.

E anche queste cose sommate non sono “tutto”.

“Tutto” per avere un figlio, per garantirgli la felicità, la realizzazione o almeno la lontananza dell’infelicità , questo “tutto”, ahimè,  non lo ha nessuno. Mai. Utero o non utero.

Lo scontro/confronto tra aspettativa e realtà , tra la maternità sognata e quella reale è il banco di prova di tutte le madri, biologiche, adottiva, affidatarie, madri di maternità pianificata e lungamente cercata o madri per caso. Nessuna è immune dalla sensazione di perdita di quando ti rendi conto che la creatura è altro da te e dai tuoi sogni. Sconfina piani, frutta aspettative, a quel seno non si attacca, di piangere non smette, nel suo letto non sta. Non ci riesci.  Non funziona. Non è come avevano detto.

Alcune madri, in questa prova, crollano. Anche nei modi drammatici che si leggono sui giornali.

Altre ne vengono a capo, giorno per giorno, certamente non in modo indolore.

Quanta onnipotenza racchiude questo messaggio, questo “tutto” così definitivo.

E chissà poi su quale obiettività si fonda.

Di cosa disporrà questa signora?

Di una bella casa con apposita cameretta già allestita?

Fi un seggiolino auto con allarme integrato in caso di amnesia?

Di una laurea di psicopedagogia? Di una squadra di baby sitter diplomata?

Di tutte queste cose insieme?

Oppure di un -assolutamente legittimo- desiderio di genitorialità, che è abbastanza diffuso nella popolazione e, appunto, prescinde dalla presenza o salute della cavità uterina.

Anche e spesso in donne che hanno sì l’utero ma hanno una vita talmente piena di problemi da non poterlo fare un figlio.

E non sarebbero cattive madri. Non lo sono. Ma con la morte nel cuore a un figlio devono rinunciare.

Magari interrompendo una gravidanza. Magari rinviando la possibilità di cercarne una fino oltre l’età consigliata (a proposito, ma quanti anni ha questa signora? Perché su per giù pare averli superati i fantomatici 35…). Magari decidendo di non riconoscere il figlio e sperare in una famiglia con quel grado di risorse materiali e stabilità che la vita non ha loro concesso.

Sarebbe interessante fare dei manifesti con le foto di queste donne.

Ho tutto per avere un figlio, anche l’utero, mi manca un lavoro non precario.

Ho tutto per avere un figlio, anche l’utero, mi manca uno straccio di casa perché gli affitti sono esorbitanti e con il mio compagno abbiamo sono una stanza nonostante lavoriamo in due.

Ho tutto per avere un figlio, anche l’utero, ma mi rendo conto di avere un compagno inadeguato e non sono ancora riuscita a trovare un aiuto per tagliare in modo definitivo.

Stipendi solidali, affitti solidali, servizi sociali solidali ne abbiamo per queste donne?

Che cosa fa la differenza nello stabilire la meritevolezza di solidarietà , la situazione medico/anatomica o quella sociale?

Perché delle leggi che tutelano le gravidanze e i figli nati, quale che fosse la situazione iniziale, le vorremmo tutti ma non vedo manifesti in proposito.

Esisteva una volta il termine “esproprio proletario”. Ora ci viene proposto di espropriare i proletari dell’unica cosa che apparterrebbe loro, fuori mercato, ope natura.

La tua capacità generativa non è più tua, è cedibile dietro compenso perché è un dettaglio monetizzabile davanti al mio “tutto”.

Posso comprare, posso assorbire anche questo.

Posso.

Tu no. E vedi di fare in modo che il tuo di utero sia solidale come una bomboniera di iuta.

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo