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I figli del passato e i figli del futuro

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di CARMELA BLANDINI

Dedicato a tutti i militari italiani internati nel campo di concentramento e sterminio di Buchenwald.


La nostra Storia va conosciuta ma non c’è bisogno di studiarla solo sui libri imparando tutte le date a memoria. Per chi è nato negli anni ’50 e ’60 bastava ascoltare i racconti dei genitori e dei nonni per cominciare a capire la Storia.

Mentre, dopo la Seconda guerra mondiale, la vita scorreva tranquilla, i papà lavoravano tutti e le mamme non scandalizzavano nessuno se andavano a lavorare, mentre i figli del futuro avevano a disposizione i primi giocattoli costosi che i genitori non avevano mai avuto, i maschietti desideravano tutti il “Meccano” (un gioco di costruzioni)  e le femminucce ricevevano in dono le prime bambole vestite in modo elegante e sfarzoso, mentre tutto questo accadeva e il boom economico risollevava l’Italia, i racconti dei nonni e dei genitori, invece,  erano ancora pieni di bombardamenti, di sfollamento verso le campagne, di oscuramento nelle case, di “fame nera” e paura indimenticabile.

I figli del passato erano sopravvissuti al fascismo e alla guerra e anche se la loro vita, finalmente, era cambiata molto, la giovinezza era stata per sempre impastata con paura e sofferenza.

E’ così che i figli del passato, quelli tra di loro che hanno sofferto di più, sono diventati, quasi sempre, persone che danno un alto valore alla vita, al denaro, al lavoro, alle sofferenze degli altri, e tutto questo lo hanno insegnato ai loro figli.

La Storia, anche quella sui libri di scuola, parla sempre di persone reali che hanno fatto qualcosa e, in quel qualcosa, c’è anche la vita di tutti quelli che sono stati costretti a subìre qualcosa, persone vissute in  contemporaneità con certi avvenimenti e in una continuità temporale  che diventa lezione di vita per i figli del futuro.

I bambini del passato oggi sono ormai adulti e conoscono le storie dei loro genitori. A volte quelle storie sono state raccontate a mezza voce, con gli occhi persi nel nulla, con l’angoscia nel cuore. A volte sono state raccontate a metà, perché i figli del futuro non avrebbero potuto sopportare tutta la verità, tutto l’orrore, tutta la paura che c’era dentro quelle storie di vita. I figli del passato sanno tante cose e tante altre no, ma  il loro amore per i loro genitori è andato oltre tutto ciò che è stato taciuto.

Il 18 Agosto 1938 Benito Mussolini si affacciò dal balcone del municipio di Trieste e proclamò alla folla:

“E’ tempo che gli italiani si dichiarino francamente razzisti”.

La vita degli italiani, che erano dal 1922 sotto il governo fascista, era già diventata “francamente” peggiore sin dal 1936 quando Mussolini si legò alla Germania nazista con l’Asse Roma-Berlino, ma le folle del 1938 applaudirono ancora più forte. Le famiglie, anche quelle spaventate, applaudivano insieme ai loro figli. La maggior parte del popolo era già stremato dalla povertà (diffusa dalla crisi economica mondiale del 1929)  e gli italiani erano anche obnubilati dalla strategia dialettica di Mussolini che, con il Patto d’acciaio del 1939 divenne il subalterno di Hitler, nonostante lui continuasse a ostentare la sua forza personale sul popolo italiano.

In quella situazione i giovani figli del passato venivano arruolati nella Milizia fascista e la figlia del futuro di uno di essi oggi ci racconta: -Il mio papà, Guerrino Da Ros classe 1917, partì per il servizio militare obbligatorio nel 1937,  stava per finire e pensava di tornare a casa, ma i venti di guerra lo obbligarono a rimanere in servizio. La guerra diventava ogni giorno una minaccia sempre più reale e quando arrivò l’8 settembre 1939 lui si trovava in Francia insieme ai suoi commilitoni. Dopo che la Germania invase la Francia, dal comandante di un battaglione tedesco, gli venne offerta la possibilità, in quanto italiano, di combattere al loro fianco-.

Ma Guerrino si rifiutò. Capì che non se la sentiva di combattere e di uccidere, disse : no!

Naturalmente sapeva che non sarebbe stato rimandato a casa e subito, infatti, cominciò il suo calvario. Passò da un campo di prigionia ad un altro e ad un altro ancora. Poi arrivò a Buchenwald, uno dei più grandi campi di concentramento e sterminio nella Germania orientale, nei pressi di Weimar, uno dei campi più terribili che la mentalità diabolica del Terzo Reich riuscì a concepire.

Guerrino, era ancora un ragazzo di circa 22 anni, vi rimase più di un anno, affamato, lacero, spaventato dagli orrori che vedeva e da quelli che sentiva raccontare dai compagni di sventura. Quando nel campo mancava una patata, e non si trovava il colpevole, tutti i prigionieri venivano puniti con la decimazione, ogni dieci di loro ne veniva ucciso uno, oppure venivano scelti i più magri, oppure gli ammalati o i feriti. Le scene di orrore erano all’ordine del giorno e ogni giorno poteva essere l’ultimo da vivo o il primo da morto.

La figlia del signor Guerrino continua il suo racconto: – Io da piccola ricordo le sue crisi nervose che lo bloccavano immobile e perso dentro la sua mente, andavo a chiamare il medico che con una iniezione lo calmava. Credo che la sua vita sia stata pesantemente segnata dalla prigionia, infatti ne parlava poco e con troppo dolore.-

Immaginiamo per un momento quello che Guerrino ha visto a Buchenwald, un campo dove si facevano esperimenti “scientifici” su uomini e donne e anche sui bambini, esperimenti di ogni tipo che tutti potete andare a cercare e leggere su Wikipedia e che io, qui, non ho il coraggio di riportare. Sappiate però che chi non moriva per gli esperimenti, ed erano pochi, veniva fatto lavorare fino allo sfinimento totale e quindi alla morte, anche perché il cibo era talmente scarso da potersi considerare quasi “inesistente”.

Cosa ha provato il giovane Guerrino in quel campo possiamo solo intuirlo, possiamo comprendere i suoi silenzi, ci rendiamo conto che non poteva raccontare quelle cose alla sua bambina. Ma anche se avesse voluto, di certo la voce veniva fermata dal ricordo atroce e dallo sgomento di essere ancora vivo, di avere una famiglia, di essere tornato a casa!

La figlia Lina conclude il racconto, infatti, con delle parole che risollevano un po’ il nostro cuore:- Una nota positiva è che lui e i suoi 5 fratelli tornarono tutti a casa, uno alla volta da tanto lontano, e,  quando arrivò l’ultimo, le campane della chiesa del paese suonarono a festa! Io da piccola non capivo il perché di tutto questo, non capivo che malattia avesse mio padre, sentivo che gli adulti raccontavano e ne parlavano, dicevano che erano stati fortunati perchè dopo la guerra i cinque fratelli erano tutti tornati, tutti a casa! Poi, crescendo, col tempo ho cominciato a rendermi conto che i suoi momenti di crisi erano momenti di un dolore che non è possibile raccontare, un dolore pieno e vissuto, sembrava che i ricordi affiorassero pian piano dal profondo, risalivano dalla memoria, lo afferravano e lo devastavano, lo hanno sempre devastato, per tutta la vita.-

Il campo di concentramento di Buchenwald fu uno dei più grandi e importanti per il Terzo Reich, vi furono internati oltre 250.000 persone provenienti da trenta nazioni diverse e tanti militari italiani. Vi morirono centinaia di migliaia di figli del passato, solo pochi tornarono a casa e quelli che tornarono provarono a raccontare qualcosa ai loro figli, ma bastava già la loro presenza perché i figli del futuro capissero la Storia.

Questa è la foto del papà di Lina Da Ros, figlia di Guerrino Da Ros, e le parole che lei scrisse quando lui morì. Grazie a Lina, figlia del passato e divenuta, con la sua testimonianza, figlia del futuro!

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo