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La poetessa Marthia Carrozzo presenta “Camminamenti”

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di MARIA DEL ROSSO


Nostra intervista

 

 

La poetessa salentina, Marthia Carrozzo ci racconta l’ arte poetica e il suo nuovo progetto letterario. Da marzo 2019 è direttrice di Camminamenti, piccola collana di scritture in movimento, edito da Kurumuny.

Marthia è una poetessa profonda, brillante, dotata di un’ immensa sensibilità artistica.

È una delle penne più interessanti del territorio pugliese che si sta affermando sempre più a livello nazionale.

Marthia Carrozzo è laureata in Scienze della Comunicazione presso l’Università del Salento. In seguito  si è  formata  a Firenze in Tecniche di management dello spettacolo.

L’incontro con il teatro, tra il 2000 e il 2009, diviene in lei input per una ricerca poetica personale e riconoscibile incentrata sulla parola, sul ritmo e sulla necessità di dare corpo e respiro al verso da ripensare nella voce. Vincitrice di diversi premi, dal 1° Poetry Slam delle culture migranti, di Questioni di frontiera (Bari, 2007), al Premio Nazionale di Poesia inedita “Ossi di Seppia” (Arma di Taggia, 2013). Autrice di testi per la musica, ha collaborato con Etta Scollo in “Cuoresenza” (Trocadero, 2011) nel brano “Dinuovoedinuovo” e con Hasa-Mazzotta in “Ura” (Finisterrae, 2014) nel brano “Del cielo e della terra” e in “Novilunio” (Ponderosa, 2017) nel brano “Novilunio”. Tra le sue pubblicazioni: Utero di Luna (Besa Editrice, 2007 – prefazione di Alda Merini), Pelle alla Pelle, dimore di mare e solo sensi (LietoColle, 2009 – prefazione Gabriella Rusticali), Di bellezza non si pecca eppure – trilogia di Idrusa (Kurumuny, 2012 – prefazione di Lello Voce) e Piccolissimo compianto all’incompiuto (Besa Editrice, 2016 – prefazione di Danio Manfredini). La sue poesia è stata oggetto di studio e traduzione nel IV Seminario Internacional sobre Lengua y Literatura presso la Facultad de Letras de la Universidad del Paìs Vasco di Vitoria- Gasteiz (Alava), per il prof. Josè Maria Nadal. Sin da subito, partecipa, con vari reading, a diversi Festival e Rassegne nazionali e internazionali.

Marthia, oltre che ad essere una poetessa nota e stimata, sei la Direttrice di collana di questo bellissimo progetto. Come nasce “Camminamenti”, la piccola collana di scritture in movimento?

“Come nel nome designato a contenerne il senso, come poetessa, poi come possibile fruitrice o “assistente”, come mi piace dire, nella doppia accezione di un assistere che davanti alla poesia è sempre attivo, ho, ad un certo punto, sentito l’ esigenza di dimostrare ciò che la “scrittura in movimento” – la poesia, ma anche il teatro, che possono vantare, a mio avviso, una scrittura viva – ha sempre rappresentato per me, ovvero quella lente particolare, privilegiata, attraverso cui guardare il mondo, per vederlo emergere più autentico dallo sguardo e dalla voce di chi ne è stato testimone. Inoltre, sin da subito, ho immaginato che a guardare attraverso questa lente dovessero essere non tanto, o non solo, dei critici già avvezzi alla poesia, quanto invece saperi altri e diversi capaci di proporre al lettore una prospettiva inusuale.”


Nell’ introduzione al libro, “Camminamenti: una prospettiva” affermi che il poeta deve essere scomodo. In un’ epoca difficile come la nostra, in cui viviamo nella paura del diverso, nell’ odio contro i migranti e minacciati da nuovi fascismi che fermentano sempre più prepotentemente all’interno della società, quanto credi sia importante per i poeti smuovere le coscienze ad essere più umane, suggerire agli uomini di essere costruttori di pace?

“Nell’ introduzione, a proposito, proprio di seguito all’ aggettivo “scomodo”, dico,del poeta, che deve essere quanto più simile possibile ai propri versi, senza nessuna distanza tra ciò che scrive e ciò che nei fatti manifesta; che deve essere, ancora, “parteggiante e partigiano”, calato nel mezzo del suo tempo, tra gli uomini e le donne che con lui soffrono e sperano. I poeti, del resto, lo hanno sempre fatto, proprio in ragione del loro essere poeti, fulcro perciò della propria tribù, del proprio villaggio (nel mondo arabo, come ricorderà Nabil nel saggio, ma anche, trasversalmente, ad altre latitudini, dove, come sappiamo, il poeta era il centro della polis), a raccoglierne le istanze e a serbarne la memoria, a cantarne la vita in ogni sua manifestazione e da sempre a spronare gli animi a migliorarsi. Dunque, per rispondere alla tua domanda, dirò che se è vero, come dici e come purtroppo possiamo esperire ogni giorno, che la nostra è un’ epoca difficile, in cui ci vediamo costantemente bersagliati da chi vorrebbe farci cedere alla paura del diverso, in cui qualcuno non smette di provare a contagiarci con un odio calcolato, verso i migranti, verso gli omosessuali o verso le donne, pedine di un’ intolleranza strumentale e appannaggio di un progetto ben preciso, che è politico, ma della peggior specie, ecco che i poeti hanno il dovere di assumersi la responsabilità di fare il meglio per i cittadini e le cittadine di un mondo sempre più in balia di chi, a ben guardare, si cura sin troppo poco dei loro interessi. E benché, per onestà, non sia possibile esimerci dal sottolineare come tutto questo possa attecchire solo nell’ ignoranza, ai poeti sta il non stancarsi mai di dire, di ripetere, di rammentare, ancora una volta tenendosi saldamente ancorati alla memoria. Ai poeti sta il resistere, il parteggiare, appunto, smascherando vecchi e nuovi fascismi, presidiando gli spazi in cui una collettività vive e si muove, proprio per non consegnarla sguarnita all’ astuzia di pifferai scaltri e senza scrupoli che oggi come ieri non chiedono di meglio. Non è facile, certo, ma i poeti questo lo sanno da sempre e da sempre si espongono. Cito spesso Brecht, quando scrive: “Generale, l’ uomo fa di tutto. / Può volare e può uccidere. / Ma ha un difetto: / può pensare.”, Come vedi, anch’ io mi tengo stretta alla poesia.

Bisogna esercitasi, esercitare questa nostra facoltà, non smettere di suggerirla.”

Nell’opera sono presenti, nella prima parte, le poesie scelte di Joumana Haddad, poetessa araba tra le più note del panorama contemporaneo. Quali aspetti della poetica di Joumana hanno fatto sì che scegliessi proprio lei?

“Sì, nel libro sono presenti le poesie scelte di Joumana Haddad che, mi preme sottolineare, vengono pubblicate, per la prima volta qui in Italia, anche in arabo, chiaramente con traduzione a fronte. Lo sottolineo perché quella di pubblicare la poesia in lingua originale con traduzione è un scelta precisa condivisa da me e da Giovanni Chiriatti, dalla casa editrice Kurumuny, che ha voluto credere con passione e lungimiranza in questo progetto e sarà una delle cifre di Camminamenti.

Quanto alla nostra poetessa: sono davvero molto felice di avere Joumana nel primo numero di questa mia collana e lo sono proprio alla luce di quanto ti ho detto sin ora sulla mia idea di poesia e sul ruolo imprescindibile dei poeti. Perché, oltre ad essere  un’ autrice acuta, che amo per la matericità della sua scrittura, per tutta la profondità tagliente ed esposta di una poesia fatta corpo, dettata dal corpo come unica via possibile, per la verità, di manifestarsi, Joumana Haddad è poetessa in pectore, è un cuore forte e fiero che mai si sottrae, sempre in prima linea per difendere gli ideali di giustizia ed equità in cui crede, di cui scrive e che vive con lo stesso identico coraggio. Identico e autentico. Prova ne sia, per chi non lo sapesse, il suo essersi candidata, nelle scorse elezioni politiche, a Beirut, in difesa dei diritti delle minoranze o, da circa un mese (da ottobre 2019), il suo essere scesa in piazza, infaticabile punto di riferimento per il suo paese, con gli uomini e le donne, con i ragazzi e le ragazze della rivoluzione libanese.

Il battesimo di questo primo numero, dunque, non avrebbe potuto immaginare madrina migliore.”

In questo primo numero di “Camminamenti” c’è  ancora, l’ interessante apporto di Nabil Salameh, autore del saggio che nella seconda parte del libro racconta la cultura araba attraverso la danza, la musica, le modalità del Maqam, la poesia mistica ed erotica. Perché proprio la cultura araba e cosa ha portato a questa scelta?

“Come ti dicevo, Camminamenti si propone di rileggere il mondo in maniera più autentica, di farlo attraverso gli occhi di un o una poeta, lasciandosi condurre, lungo il cammino, dalla prospettiva scelta da chi di volta in volta curerà il saggio, che, come hai visto nel caso di questo primo numero, dialoga e si intreccia con i versi e la scrittura da cui muove l’ intero lavoro. Per ragioni che potrai facilmente intuire, legate ai temi che da sempre interessano la mia ricerca poetica, ho scelto di partire dal corpo, nucleo tematico che sarà mantenuto anche per i prossimi numeri in programma e fulcro attorno al quale questo dialogo si dipana. A maggior ragione, ho quindi scelto scientemente che questo viaggio cominciasse, non a caso, proprio dal mondo arabo. E cito, a supportarmi, le stesse parole di Nabil Salqmeh che, introducendo il suo saggio, ne spiega le ragioni:

“Rileggere il mondo arabo attraverso gli occhi di una donna, rivelarne le contraddizioni attraverso lo sguardo di chi, da protagonista, ne ha attraversato le trasformazioni, sfatando preconcetti espressamente occidentali, per lo meno di quei tanti che ancora leghino a un Medio Oriente ritenuto troppo lontano, benché vicinissimo, immagini stereotipate confezionate ad arte da media fin troppo distratti o persino disinteressati a comunicare al mondo la sua essenza più vera e che restano così, impacchettate a invecchiare a uso della pigrizia di quanti non provino nemmeno a fare un passo più in là, per quella messa in dubbio che resta sacrosanto sprone a un’indagine più approfondita, per quella curiosità che forse li avvicinerebbe a tutta un’altra storia, decisamente più variegata e interessante.”

In tal senso, scegliere Nabil è stato molto naturale, per la stima che nutro nei confronti di un intellettuale con cui ho la fortuna di collaborare da tempo, la cui sensibilità e la cui competenza, come docente di etnomusicologia e storia della musica araba, soprattutto, ha saputo arricchire un saggio già interessante, come dicevi, di un apparato  nutrito e variegato per dar modo al lettore di calarsi appieno nel contesto descritto, riuscendo, in egual misura, a rendere la trattazione fruibile come un racconto, soffermandosi a narrare, tra le vicende vere o presunte della storia di Naìma, delle origini della musica araba, delle modalità del Maqam, della danza, della poesia mistica ed erotica, offrendo alla curiosità ma soprattutto all’ attenzione di quanti sceglieranno di leggerlo, un ritratto inedito e autentico di una cultura sicuramente contraddittoria ma anche molto ricca e decisamente più sfaccettata di quanto certi stereotipi di comodo accuratamente scelti e propinatici dai media vogliano far credere.”

Sfogliando le pagine di questo libro possiamo notare che il saggio-racconto di Nabil Salameh, seppur ambientato tra il settimo e l’ ottavo secolo, dunque in un momento storico caratterizzato dall’ avvento dell’ Islam, lascia emergere la figura di Naìma, donna particolare e molto diversa da quelle a cui corre la nostra immaginazione di uomini occidentali. Del resto, anche la poesia di Joumana Haddad ha una forza e una sensualità che vanno oltre ogni immaginazione. Quanto è stata importante e condivisa l’ idea di proporre proprio una donna come fulcro dell’ attenzione dell’ intero lavoro?

“Sin dall’ inizio ho immaginato il dialogo tra questi due autori come un canto e contrappunto. Nella citazione che precede l’ introduzione di Nabil al saggio, tratta dal suo “Ho ucciso Shahrazad” (Mondadori, Milano 2011), Joumana avverte: “Nonostante sia una cosiddetta donna araba, io e tante altre donne come me non viviamo in una tenda, non andiamo sul cammello e non sappiamo ballare la danza del ventre (non ti offendere se appartieni al gruppo degli “illuminati”: qualcuno ha ancora questa immagine di noi nonostante il mondo globalizzato del XXI secolo)”

Ed effettivamente, la poesia di Joumana Haddad è quanto di più coraggioso, audace, autentico e materico si possa leggere. I suoi versi rivelano una sensualità forte e consapevole, lontana anni luce dai clichè della cosiddetta donna araba.

In più, o in primis, è una donna, cosciente di sé e di ciò che desidera, certa di un sentire, come di una voce che, a testa alta, non si esime di sfidare ogni costruzione.

Allo stesso modo, nel racconto di Nabil, pure ambientato in un contesto ben preciso, cioè tra il settimo e l’ ottavo secolo, testimone quindi dell’ avvento dell’ Islam, Naìma, poetessa, cantante e suonatrice di oud, è una donna la cui immagine potrà certamente apparire inusuale. Donna araba immersa in un tempo fitto di contraddizioni a tinte cupe, sarà proprio lei, infatti, che da quell’ ambiente così caratterizzato saprà emergere, con il  coraggio e la determinazione tipica solo delle donne; una figura delicata e fortissima che persegue un progetto preciso, che mira a riaprire una scuola delle arti, dove la musica, la danza, la poesia possano ancora essere capaci di fare da faro.

Ma tra le pagine del racconto i lettori potranno ritrovare altre figure di donne, maestre e mistiche, sapientemente indicate a sfatare ancora una volta ogni stereotipo a cui un certo occidentale distratto sia ancora avvezzo.

In tal senso, il ricorso all’ immagine di una donna, come alla sua voce, alla sua personalità era necessario tanto quanto è stato, sin da subito, naturale, sia per me che per entrambi gli autori. Forse è proprio a questo che bisogna tendere quale meta ideale di questi nostri Camminamenti: ad un tempo in cui affidarsi ad una donna, ai suoi versi, alla sua voce, al suo esempio, possa essere per tutti, come è stato per noi, naturale. E allo stesso modo possa esserlo, ancora, affidarsi ai poeti, chiedere loro di raccontarci il mondo, di rivelarcelo per davvero.”

Un motivo per cui bisognerebbe leggere “Camminamenti” e un consiglio da suggerire agli amanti dei libri : perché donare questo libro, “Al Maqam, la storia di Naìma (O del corpo che si rivela)” – Kurumuny Edizioni – ai propri cari per Natale.

“Perché è un libro bellissimo, no?! Perché, come dico sempre, i miei sono gli autori più belli del mondo. Sono di parte, ovviamente e del libro è stato già ampiamente detto nel corso dell’ intervista. Voglio donare però a te e ai tuoi lettori il pensiero, mio, ma condiviso, che apre questo libro: “ Un camminamento, nelle guerre di posizione, era un fitto reticolato di passaggi atti a mettere in comunicazione diverse trincee della stessa fortificazione. Oppure, ben lungi da ogni contrapposizione a questo o a quel nemico, un camminamento resta la migliore spina dorsale di un giardino, nel disegno di chiunque voglia renderlo rigoglioso di piante, alberi e architetture floreali della più diversa natura, a comporre la meraviglia, non già di un bouquet di fiori recisi, ma di  un luogo vivo capace di germinare continuamente nuove gemme “.

Noi ci crediamo.”

La foto è di Francesco Conti, è stata scatta durante la presentazione ufficiale del 21 giugno 2019 all’ Università del Salento.

 

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo