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Sentirsi bocciati dalla vita

Ragazzi e ragazze che decidono di togliersi la vita. Per esami non dati, una laurea lontana. Per il peso delle bugie. Succede spesso. Troppo spesso.

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Credit foto https://it.aleteia.org/2023/02/02/19-anni-suicidio-iulm-milano-lettera-fallire-studi-vita/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Ragazzi e ragazze che decidono di togliersi la vita. Per esami non dati, una laurea lontana. Per il peso delle bugie. Succede spesso. Troppo spesso.

Ogni volta parte il dibattito. “Non si può morire per degli esami”, “sicuramente ci sono altre fragilità”, tutto condito con il pilatesco “ora è il momento del silenzio”. Il silenzio che è la pietra tombale.

I giovani sentono il peso. Di un mondo del lavoro dove è difficile entrare, della competizione. Sentono la necessità di non deludere i genitori. Mantenere un figlio all’università costa molto. Costa sempre di più. Certo ci si può mantenere agli studi lavorando. Studiare e lavorare costa fatica, può rallentare il numero degli esami dati.

Bisogna correre. I giornali danno, sempre più spesso, la notizia di laureati giovanissimi. L’eccellenza viene portata ad esempio. Niente di male ovviamente. Il problema è che pochi parlano della normalità. Di corsi difficili da seguire perché affollati, di esami che sono catene di montaggio. Dell’eccessivo nozionismo, dell’ottusa severità. Non siamo tutti uguali. Nemmeno nell’apprendimento.

Il supporto psicologico negli Atenei deve essere capillare. Bisogna parlare dell’imperfezione anzi bisogna ammettere che non esiste la perfezione. Bisogna lodare chi si laurea a ventidue anni ma anche chi, con grande sacrificio, si laurea a quarant’anni. Anni fuori corso, esami falliti ma la tenacia che porta al risultato. Tantissimi hanno superato il fallimento. A questi tantissimi possiamo dare un nome rappresentativo e riassuntivo di tante storie. Micaela Quintavalle. Laureata in medicina a 42 anni. La Quintavalle umiliata e licenziata. Ora è un medico, con  crescente capacità e passione. Con tenacia ha saputo trovare il suo posto nella vita https://ilsudest.it/dalle-regioni/2022/09/05/micaela-quintavalle-da-paziente-a-medico-curare-per-vivere/ .

Non è una vergogna lasciare l’università, non è una vergogna cambiare corso di laurea. Non è una vergogna laurearsi in ritardo. No, non è una vergona. Noi tutti abbiamo un solo obbligo. Trovare il nostro posto nella vita.

Il ruolo delle famiglie, dell’Università, dello Stato, deve essere quello di permettere ai giovani di assecondare le proprie aspirazioni. Ciascuno è perfetto a modo suo, perché dotato di quanto necessario per realizzarsi. Il danno arriva quando si rincorrono modelli che non sono destinati a noi. “Beh è diventato ingegnere il figlio dello spazino posso diventarlo anche io o può esserlo mio figlio”, “la mia amica è già laureata e io ancora non riesco a superare quel maledetto esame”.

Bisogna ascoltare. I figli, gli studenti, le persone. Interrogarsi sul senso della vita. Lavoriamo per vivere o dobbiamo vivere per lavorare? Non possiamo appellarci alla selezione naturale. Non abbiamo il diritto di farlo.

Viviamo un periodo di grande fragilità. Il Covid e la guerra in Ucraina hanno portato crisi economica ed incertezza. In queste condizioni è facile scivolare. Questo è il momento di fare squadra. Di non giudicare. Ogni epoca della storia umana ha dimostrato che la solidarietà e la somma delle competenze di ciascuno hanno fatto la differenza.

Non sono studenti senza nome che devono apprendere una lezione e dare un esame. Sono ragazzi e ragazze che iniziano il percorso per creare il loro futuro . Devono essere sostenuti e compresi, quando necessario con illuminata severità. Sempre con umanità.

Un giovane che muore perché si sente fallito è intollerabile. Un fallimento per uno Stato che ha dimenticato la sua ragion d’essere.

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