Mettiti in comunicazione con noi

Editoriale

Perché la sessualità è ancora un tabù, soprattutto per chi è affetto da disabilità

SESSO!
Ora che abbiamo la vostra attenzione, potete leggere questo articolo in cui parliamo di educazione sessuale nelle scuole, dell'”assistente affettivo per i disabili”, della paura di affrontare il mondo esterno.

Avatar photo

Pubblicato

su

In copertina, Frida Kahlo, “Autoritratto con il dottor Farill”, 1951. Galleria Arvil, Città del Messico (immagine di pubblico dominio)

di Alessandro Andrea Argeri

Il momento sessuale implica la scoperta di sé, nonché del proprio corpo. La vita sessuale è parte della qualità di vita di una persona, in quanto tutti abbiamo bisogno di affettività, indipendentemente dalle nostre condizioni. Tuttavia “sessualità libera” non significa “eccesso indiscriminato”, né tantomeno “depravazione”. Ci si spaventa a parlare di sesso, di procreazione, di come continui ad esistere il genere umano. Eppure ogni giorno il tema è davanti ai nostri occhi. Sebbene siamo costantemente esposti a messaggi di tipo sessuale, in Italia la sessualità è ancora considerata un tabù, soprattutto per chi è affetto da disabilità.

Assieme a Cipro, Polonia, Romania, Bulgaria e Lituania, il nostro Paese è una delle poche nazioni occidentali in cui non è prevista l’educazione sessuale nelle scuole. Non è obbligatoria, inoltre molti docenti docenti di scienze alle medie nemmeno includono l’apparato riproduttore nei programmi di studio, “altrimenti i ragazzi ridono”. Effettivamente a scuola bisogna solo piangere, disperarsi, apprendere passivamente tutta una serie di nozioni senza però averle realmente comprese. Ufficialmente conosciamo a memoria tutti gli elementi della tavola periodica, ma non come si trasmette l’Aids, o la differenza di quest’ultima con l’HIV. Poi ci domandiamo come mai la dispersione scolastica sia in costante crescita… Boh!

Ad ogni modo, se è un problema parlare di sessualità per gli abili, per le persone disabili affrontare il tema risulta essere un doppio tabù. Innanzitutto bisogna chiarire come ci siano tre dimensioni dell’educazione sessuale: ludica, cioè la conoscenza del proprio corpo; relazionale, ovvero la scoperta del corpo dell’altro; etica, ossia la comprensione del valore della corporeità. Il tema si scontra ancora oggi con forti pregiudizi ideologici, ma anche con un certo senso di “vergogna”, dal quale traspare la paura per molti nell’affrontare la vita reale.

Il problema prevalentemente culturale viene poi ingigantito dal “trash talking” quotidianamente alimentato dalle varie propagande politiche. Fino ad ora è risultato impossibile nel dibattito mediatico affrontare il tema seriamente, poiché ogni volta si è finiti a parlare di “Vaticano”, “omosessualità”, “patriarcato”, “fascisti”, “comunisti”, “devianze”, “deviati”, “Gargamella”, “i puffi”, “Biancaneve”, “cattivo tu”, “cattivo lui”, “cattivo io”. Eppure gli stessi rappresentanti pubblici, quando si pronunciano in merito alla sessualità, nell’esporre il nobile proposito di difendere le menti dei bambini spesso confondono il sesso con la pornografia, quasi fossero loro gli adolescenti alle prime esperienze. Se le ambiguità siano volute o meno è ancora da stabilire. Ciononostante alcune dichiarazioni sono un chiaro esempio del perché un po’ di educazione sessuale nelle scuole sarebbe proprio necessaria.

Veniamo alla politica. Il 22 novembre 2022 il consigliere PD della regione Lazio Iacopo Melio ha rilanciato la proposta di inquadrare un “assistente affettivo per i disabili” affinché la figura sia riconosciuta anche in Italia come nel resto d’Europa. In verità la proposta non è nuova, poiché era già stata presentata nel 2014 in Senato da Sergio Lo Giudice (PD), tuttavia a quel tempo il disegno di legge non era mai stato calendarizzato. Ovviamente l’assistente affettivo per i disabili non è un sex worker, infatti, qualora un giorno venisse approvata, l’iniziativa non legalizzerebbe la prostituzione. Riguarderebbe piuttosto l’educazione all’affettività, nonché alla sessualità, da parte di professionisti del benessere sia psicofisico sia emotivo.

In altri termini, la figura non si occuperebbe dei bisogni sessuali delle persone con disabilità. Al contrario, in quanto terapeuta, avrebbe una preparazione qualificata per occuparsi dell’aspetto educativo, ovvero per insegnare a prendere confidenza con il proprio corpo, oltre che con le sue esigenze. L’assistente affettivo per i disabili non sarebbe quindi un lavoro per tutti, in quanto per un compito simile sarebbero necessarie capacità d’ascolto, pazienza, ma soprattutto una mente sgombra da pregiudizi. Insomma le qualità umane conterebbero particolarmente, sicuramente di più rispetto a quanto avviene in altri ambiti.

Dunque quando si parla di “assistente affettivo” si intende una figura specializzata nell’esplorare la sessualità, non a soddisfarla, ovvero a condurre soggetti diversamente abili alla scoperta del proprio corpo, delle emozioni, del piacere, così da renderle sia più autonome sia più vicine al benessere psicofisico. Inutile precisare come la figura potrebbe essere d’aiuto anche per le famiglie o caregiver. Magari molti di questi eviterebbero di portare propri figli dai veri “sex worker”.

Quando si parla di diritti umani non dovrebbero esserci bandierine politiche. Tuttavia difficilmente in questa legislatura si discuterà su un tema del genere, anche perché, al di là di sporadiche iniziative locali, l’argomento non sembra essere nelle agende né del governo, né l’opposizione, né della succursale della maggioranza. Forse però cominciare a parlarne può essere già un buon primo passo verso un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione: la libera sessualità. “That’s life”.

Altri articoli in cui ho parlato di sessualità e tutela dei disabili:

Inclusività: “Garantire pari diritti tra chi può farcela da solo e chi no”.

Punti di vista sulla transessualità: indottrinamento o percorso interiore?

RIPRODUZIONE RISERVATA © 

Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).