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Oasi Culturale

Strafalcioni storici nei libri sul fascismo

Benvenuti su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. Oggi parleremo di errori storici nei libri sul fascismo, in particolare ne “La natura del duce. Una storia ambientale del fascismo”, pubblicato per Einaudi il 10 gennaio 2023.
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In copertina, Mussolini in Nederland (Wikimedia Commons).

di Alessandro Andrea Argeri

Ne ho lette di considerazioni formulate da radical chic confusi, ma raramente mi era capitato un intero libro, oltretutto su una tematica ancora viva nella coscienza collettiva. Marco Armiero, Roberta Biasillo, Wilko Graf von Hardenberg pubblicano per Einaudi “La natura del duce. Una storia ambientale del fascismo” per descrivere i rapporti del regime mussoliniano con madre Natura. Qui uno pensa: “il fascismo ha fatto tante cose brutte, la sua degenerazione politica è sicuramente da condannare, però almeno le paludi sono state bonificate”. Invece no. Si può avere un’idea abbastanza approfondita di quanto è stato scritto da un riassunto pubblicato dagli stessi autori sul numero del 9 gennaio del “Domani”, su cui ci siamo basati sia io sia Ernesto Galli della Loggia sul Corriere. Al di là della scaltrezza della campagna marketing, sarebbe bastato infatti un semplice inserto pubblicitario, la parola “duce” ci avrebbe pensato da sola a conseguire le vendite, ma evidentemente l’articolo è stato scritto apposta per incentivare a non leggere il libro, chi è abbastanza onesto intellettualmente, o chi ha studiato la storia senza l’intento di riscriverla, sa invece come andava il mondo nel 1920.

La “battaglia del grano” o della “trasformazione delle vallate alpine in motori idroelettrici” sarebbe da ricondursi non a un tentativo di modernizzazione del paese, bensì a un’ideologia bellicista volta all’espansionismo, secondo il quale la natura sarebbe “un nemico da sconfiggere e uno spazio da conquistare. La stessa bonifica era in fin dei conti una guerra contro la palude e la malaria, una guerra coloniale interna per conquistare lo spazio vitale necessario all’espansione di una prolifica Italia fascista”. Quindi l’Italia intera avrebbe dovuto vivere nelle capanne mentre in Inghilterra, non proprio un paese fascista, costruivano più ferrovie di quante ce ne siano tutt’ora nel Mezzogiorno. Ma ovviamente l’atteggiamento degli altri paesi non è considerato.

Anche i tentativi di autosufficienza energetica, tema centrale anche in questo 2023, in realtà celava un secondo fine. Ebbene “l’autarchia significava occupare ogni millimetro del suolo, del mare e del sottosuolo, era un’espansione in intensità e spesso in profondità, visto il ruolo cruciale della ricerca di minerali e combustibili, del controllo del regime sulla natura”. “Come i nemici in guerra, così la natura sembra nascondere i suoi tesori; tutti gli eserciti sanno bene che nei territori occupati la ricchezza non è mai in mostra. Bisogna perquisire, requisire, spaventare, costringere, estorcere fino all’ultima goccia; il tutto con una buona dose di violenza e, come è noto, la violenza era forse l’unica cosa di cui il fascismo non mancava”.

Il problema di un libro così impostato non è assolutamente l’antifascismo, né le condanne della violenza politica, le quali sono sacrosante in un paese civilizzato, bensì il modo in cui le idee antifasciste sono state stese: mancano argomentazioni, ci sono solo slogan per attirare ragazzini delle medie o liceali trasferitisi sui social network. Magari però parlare in modo critico di un fenomeno storico complesso quale il movimento fascista potrebbe aiutare sia a comprenderlo sia a prenderne giustamente le distanze.

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